Questa l’impressione superficiale che si trae dalla lettura dell’art. 65-bis della legge 21/06/2017, n. 96, con cui è stato convertito in legge, con modificazioni, il decreto-legge 24/04/2017, n. 50, comunemente definito “Manovrina”. Ma andiamo per ordine.
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1. L’art. 65-bis, l. 96/2017 sostituisce nell’art. 3, comma 1, lettera c), testo unico dell’edilizia, approvato con d.P.R. 06/06/2001, n. 380, relativo agli interventi di “restauro e risanamento conservativi”, le parole “ne consentano destinazioni d'uso con essi compatibili” con le parole “ne consentano anche il mutamento delle destinazioni d'uso purché con tali elementi compatibili, nonché conformi a quelle previste dallo strumento urbanistico generale e dai relativi piani attuativi” (in appendice il testo coordinato).
In questo modo, in dichiarata reazione ad una sentenza della Corte di cassazione penale, sez. III, 14/02/2017, n. 6873 (allegata in pdf per pronta consultazione) relativa alla trasformazione di un immobile storico nella Città di Firenze, cui sono dedicate le seguenti considerazioni, sarà possibile far rientrare negli interventi di restauro e destinazione d’uso (gli unici consentiti in molti Centri storici, in primis Firenze) anche quelli implicanti il mutamento della destinazione d’uso. La sentenza n. 6873/2017 della Cassazione penale, che larga eco aveva avuto anche fra i non addetti ai lavori, aveva affermato che il cambio di destinazione d'uso di immobili, a prescindere dai lavori, e dunque anche per interventi modesti, configurava in ogni caso una ristrutturazione edilizia “pesante”, così da richiedere sempre e comunque il permesso di costruire, in luogo della D.I.A. (oggi sostituita dalla SCIA di cui al d.lgs. 25/10/2016, n. 222), paralizzando di fatto l’attività edilizia ed amministrativa in molti Comuni.
2. Tuttavia, anche alla luce della nuova definizione di tali interventi, non sembra essere stato oggetto di sufficiente approfondimento il fatto che il vero parametro condizionante la destinazione e le opere è la compatibilità del cambio di destinazione d’uso con gli elementi tipologici, formali e strutturali dell’edificio, non la questione sul titolo abilitativo necessario (permesso di costruire in luogo della SCIA). Detto in altri termini, il cambio di destinazione d’uso di edifici, tramite interventi di restauro e risanamento conservativo e dietro presentazione della SCIA (o, prima della novella, tramite permesso di costruire), non sarà comunque possibile quando le destinazioni d’approdo non siano consentite dallo strumento urbanistico generale e dai relativi piani attuativi e non rispettino il carattere fisico/funzionale dei medesimi edifici.
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A nostro avviso si tratta di una riforma affrettata che, in luogo di affrontare le inevitabili antinomie presenti nella normativa urbanistico-edilizia (nazionale, regionale o comunale), sembra piuttosto assecondare impressioni epidermiche degli operatori.
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Appendice
Art. 3, comma 1, lett. c), T.U.E. (testo vigente al 7.7.2017)
“"interventi di restauro e di risanamento conservativo", gli interventi edilizi rivolti a conservare l'organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un insieme sistematico di opere che, nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell'organismo stesso, ne consentano anche il mutamento delle destinazioni d'uso purché con tali elementi compatibili, nonché conformi a quelle previste dallo strumento urbanistico generale e dai relativi piani attuativi. Tali interventi comprendono il consolidamento, il ripristino e il rinnovo degli elementi costitutivi dell'edificio, l'inserimento degli elementi accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze dell'uso, l'eliminazione degli elementi estranei all'organismo edilizio”