Appalti e responsabilità solidale: l’interpello ministeriale n. 5/2018
Il tema della responsabilità solidale negli appalti privati e pubblici è stato oggetto di numerose modifiche nel tempo non sempre collimanti tra loro. Vale la pena quindi riepilogare i termini della questione per comprendere meglio la portata dell’interpello ministeriale n. 5/2018 del 13 settembre 2018 (allegato in pdf per pronta consultazione).
L’ultima modifica dell’art. 29, comma 2, d.lgs. 10.9.2003, n. 276 (cd. legge Biagi), dettata dal decreto-legge 17.3.2017, n. 25 entrato in vigore il 17 marzo 2017, lasciava infatti ampi spazi di incertezza sulla perdurante applicabilità di (precedenti) diversi meccanismi della contrattazione collettiva che, in ipotesi, avessero individuato metodi e procedure per il controllo e la verifica della regolarità complessiva degli appalti, con facoltà di derogare al principio della solidarietà del committente per i crediti retributivi vantati dal lavoratore impiegato dall’appaltatore (il tutto, tra l'altro, senza che fosse prevista alcuna norma di diritto transitorio).
Tali meccanismi, per altri versi, erano richiamati nell’art. 105, d.lgs. 18.4.2016, n. 50 che, a tutela dei dipendenti dell’appaltatore, prevede la responsabilità del contraente principale “in solido con il subappaltatore in relazione agli obblighi retributivi e contributivi, ai sensi dell'articolo 29 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276”, nonché la responsabilità in solido dell’affidatario con il subappaltatore per l’osservanza delle norme della contrattazione collettiva per il “trattamento economico e normativo stabilito dai contratti collettivi nazionale e territoriale in vigore per il settore e per la zona nella quale si eseguono le prestazioni”.
Ma andiamo per ordine. In primo luogo, dopo le modifiche del decreto-legge n. 25/2017 (convertito, con modificazioni, nella legge n. 49/2017), seppure per ragioni di migliore tutela del “creditore lavoratore”, il committente privato non può invocare più il beneficio della preventiva escussione dell’appaltatore o degli eventuali subappaltatori nella sua prima difesa o nella memoria di costituzione nel giudizio ex art. 414 cod. proc. civ., dovendo pagare direttamente al lavoratore tutti i crediti da lui vantati, salvo il suo diritto di agire per ottenere il rimborso di quanto pagato per conto dell’appaltatore o del subappaltatore. A ciò si aggiunga che, anche attraverso l’eliminazione del riferimento ai meccanismi di controllo previsti dal contratto collettivo, il committente privato rimane sostanzialmente privo di qualsiasi mezzo per verificare il corretto adempimento da parte dell’impresa affidataria o delle imprese subappaltatrici degli obblighi retributivi e contributivi nei confronti delle maestranze impiegati da tali imprese.
In secondo luogo, per espressa disposizione dell’art. 9, comma 1, decreto-legge 28.6.2013, n. 76 (e, soprattutto, dell’art. 1, comma 2, d.lgs. 276/2003), agli appalti pubblici non trova applicazione l’art. 29 della Legge Biagi, improvvidamente richiamato nell’art. 105, comma 8, d.lgs. 50/2016. In precedenza, come riconosciuto dalla sentenza della Cassazione, sez. lavoro, 10.10.2016, n. 20327 a proposito delle analoghe disposizioni del d.lgs. 163/2006, agli appalti pubblici non trovava applicazione il regime di responsabilità solidale previsto dall’art 29, comma 2, d.lgs. 276/2003 (cfr., da ultimo, Cassazione, sez. lavoro, ord. 30.10.2018, n. 27677).
Oggi, con l’interpello n. 5/2018 del 13 settembre 2018, viene fatto un minimo di chiarezza sul punto. Un’ultima notazione preliminare: si tratta di un interpello reso ai sensi dell’art. 9, d.lgs. 23.4.2004, n. 124 la cui osservanza quindi, a differenza degli interpelli in tema di sicurezza sul lavoro, esclude l'applicazione delle relative sanzioni penali, amministrative e civili.
Svolte queste non brevi, ma necessarie, considerazioni introduttive, traendo spunto dall’interpello n. 5/2018 possono formularsi le seguenti considerazioni d’assieme per gli appalti privati:
a) non possono inserirsi nei contratti collettivi, sottoscritti post 17 marzo 2017, modifiche di verifica dell’appalto in deroga al regime della solidarietà di cui all’attuale art. 29, d.lgs. 276/2003;
b) non operano nei contratti di appalto, sottoscritti post 17 marzo 2017, disposizioni contenute in contratti collettivi che, in corso di validità al 17 marzo 2017, derogano al regime di solidarietà di cui all’art. 29, d.lgs. 276/2003;
c) può trovare applicazione la disposizione contrattuale di esclusione della solidarietà solo per crediti maturati nel corso del periodo ante 17 marzo 2017, mentre non potrà operare per crediti maturati nel periodo successivo.
Alla fine di questo contributo, traendo spunto dalle argomentazioni sopra sintetizzate dell’interpello n. 5/2018, può ragionevolmente sostenersi che il committente pubblico, fatti salvi i contratti di appalto pubblici sottoscritti prima del 17 marzo 2017 e per crediti maturati prima di tale data, non possa più far riferimento ad eventuali clausole dei contratti collettivi derogatorie del regime di responsabilità solidale. Come riconosciuto espressamente dall’interpello n. 5/2018, infatti, è stata in radice “rimossa la possibilità per il contratto collettivo di introdurre una deroga al regime di solidarietà negli appalti”.
Tuttavia, è d’obbligo auspicare un intervento chiarificatore del legislatore, così da fugare i dubbi interpretativi ed applicativi in una materia così densa di implicazioni che, ad avviso di chi scrive, non può essere sempre lasciato a continui interventi della giurisprudenza e della prassi amministrativa.
Si tratta, infatti, di un ambito in cui le preminenti esigenze di tutela del lavoratore (ben evidenziate, ad esempio, nella sentenza della Corte costituzionale 6.12.2017, n. 254 che ha esteso il regime della legge Biagi anche ai lavoratori del sub-fornitore in contratti di sub-fornitura, oggetto della successiva circolare dell'Ispettorato Nazionale del Lavoro 29.3.2018, n. 6) dovrebbero tener in debito conto anche la responsabilità solidale “illimitata” e senza filtri tra committente e appaltatore negli appalti e subappalti privati che si trasforma, come è stato correttamente osservato, in una vera e propria “responsabilità oggettiva” in capo alle imprese committenti (di solito, medio-grandi) nei confronti dei propri subappaltatori.
Questi ultimi, infatti, potrebbero essere indotti a non onorare nei confronti dei propri lavoratori “i trattamenti retributivi, comprese le quote di trattamento di fine rapporto, nonché i contributi previdenziali e i premi assicurativi dovuti in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto”, confidando per due anni nella responsabilità solidale del committente che, di norma, è soggetto più strutturato economicamente.
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Sicurezza sul lavoro, vendita di apparecchi difettosi ed analogia in bonam partem
1. Macchinari difettosi da riparare possono essere venduti senza incorrere in sanzioni? A questa domanda risponde, con una ricostruzione della normativa e della giurisprudenza, l’interpello del Ministero del Lavoro 13/01/2017, n. 1/2017 (allegato in pdf per pronta consultazione).
2. La Commissione si è pronunciata, infatti, su un quesito relativo all'ambito di applicazione degli artt. 23 e 72 D. Lgs. 09/04/2008, n. 81 e s.m.i. (altrimenti noto come “Testo Unico Sicurezza”) che, rispettivamente, vietano e sanzionano penalmente “la fabbricazione, la vendita, il noleggio e la concessione in uso di attrezzature di lavoro, dispositivi di protezione individuale o impianti non conformi alla normativa tecnica, intendono perseguire la finalità di anticipare la tutela della salute e dell’Integrità fisica dei lavoratori, garantendo l’utilizzo unicamente di quei beni conformi ab origine ovvero di quelli preventivamente adeguati alla normativa”.
La Commissione ministeriale, aderendo alla prospettazione della Regione che aveva proposto istanza di interpello facendo leva su Cass. pen., sez. III, 01/10/2013, n. 40590, ricorda che: “...il divieto posto dall’articolo 23 sopra richiamato possa subire [...] un qualche temperamento in chiave derogatoria laddove la vendita venga effettuata per un esclusivo fine riparatorio della macchina in vista di una futura utilizzazione, una volta ripristinata e messa a norma”.
In particolare, prosegue l’interpello n. 1/2017 (l’unico dell’anno da poco trascorso, il n. 2/2017 è stato in realtà pubblicato solo il 16/01/2018), è stato affermato che “sulla base di […] un principio di ragionevolezza, non disgiunto da una regola di ordine economico generale [...] fermo restando che è vietato l’impiego di macchinari non a norma con la conseguenza che una vendita di prodotti di tal fatta è, di regola, vietata stante la conseguenzialità e normalità dell’impiego della macchina nel ciclo produttivo, nell’ottica del passaggio del prodotto industriale alla fase economica successiva (utilizzo)”.
Tuttavia, “laddove quest’ultimo passaggio non vi sia (come nel caso dello stazionamento del macchinario presso una ditta specializzata esclusivamente nella riparazione per la messa a norma con compiti ben specificati che inibiscono una utilizzazione successiva mediata tramite il venditore all’origine), non può ritenersi vietata la vendita di un macchinario in quanto avente uno scopo ben circoscritto, senza alcuna previsione di utilizzazione”.
3. Alla luce di quanto precede si comprende, quindi, la seguente conclusione dell’interpello n. 1/2017: “la circolazione di attrezzature di lavoro, di dispositivi di protezione individuale ovvero di impianti non conformi, senza alcuna previsione di utilizzazione, ma con esclusivo e documentato fine demolitorio ovvero riparatorio per la messa a norma, così come la mera esposizione al pubblico, non ricadono nell’ambito di applicazione delle citate disposizioni normative, in considerazione della relativa ratio legis” (trattandosi, si aggiunge, dell'applicazione del noto principio di “analogia in bonam partem” venendo a mancare, nel caso concreto, qualsiasi tratto di offensività rispetto all'interesse protetto dalla norma così da non configurare alcun reato).
4. Sulla portata dell’interpello n. 1/2017 sono d’obbligo alcune precisazioni. In primo luogo, occorre tenere presente il valore di "quasi scriminante" degli interpelli in materia di sicurezza sul lavoro e, soprattutto, l’indirizzo non uniforme della giurisprudenza che aveva affermato la violazione dell’art. 6, comma 2, D. Lgs. n. 626/1994 (e ora dell'art. 23 D. Lgs. n. 81/2008) da parte del fabbricante-venditore di attrezzature di lavoro non rispondenti alle disposizioni legislative e regolamentari vigenti in materia di sicurezza sul lavoro, a prescindere dal fatto che le stesse risultassero effettivamente utilizzate (cfr. Cass. pen., sez. III, 27/04/2011, n. 16436). Inoltre, si ricorda che, secondo Cass. pen. Sez. III, 12/04/2012, n. 19416, l'art. 23 D.Lgs. n. 81/2008, nel vietare la fabbricazione, la vendita, il noleggio e la concessione in uso di attrezzature e impianti non rispondenti alle disposizioni legislative e regolamentari in materia di salute e di sicurezza sul lavoro, non trova applicazione nel caso di concessione in affitto di un'intera azienda.
Infine, come precisato in motivazione dalla medesima sentenza della Corte di Cassazione n. 40590/2013 (posta a base dell’interpello n. 1/2017), spetta al giudice accertare, con indagine di fatto, le condizioni di vendita stabilite in concreto per escludere l’applicazione di siffatto divieto e della relativa sanzione. Se queste condizioni di vendita non evidenziano la mancata utilizzabilità del bene, quindi, scatterebbero di nuovo il divieto e la sanzione del Testo Unico Sicurezza.
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T.U. Sicurezza-Nuovi interpelli
Il Ministero del Lavoro, con una serie di interpelli del 25/10/2016, espressi ai sensi dell’art. 12 D. Lgs. 9/4/2008, n. 81 (“Testo Unico Sicurezza” o “TUS”), ha fornito una serie di chiarimenti su vari aspetti del medesimo decreto.
Si tratta degli interpelli n. 11/2016, n. 12/2016, n. 13/2016, n. 14/2016, n. 15/2016, n. 16/2016, n. 17/2016, n. 18/2016 e n. 19/2016, che concernono rispettivamente i seguenti profili:
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n. 11/2016: valutazione dei rischi ambientali e sicurezza del posto di lavoro del personale navigante delle compagnie aeree;
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n. 12/2016: applicazione dell’art. 109 (recinzione di cantiere) del d.lgs. n. 81/2008 nel caso di cantieri stradali;
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n. 13/2016: possibilità di considerare come costo per la sicurezza l’utilizzo di una piattaforma elevabile mobile in sostituzione di un ponteggio fisso;
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n. 14/2016: oneri visite mediche ai sensi dell’art. 41 del d.lgs. n. 81/2008;
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n. 15/2016: applicabilità della sorveglianza sanitaria ai medici di continuità assistenziale;
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n. 16/2016: presenza del RLS nelle società all’interno delle quali operino esclusivamente soci lavoratori;
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n. 17/2016: applicazione del Decreto interministeriale 4 marzo 2013 anche per il personale addetto all’attività di soccorso stradale con carri attrezzi;
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n. 18/2016: svolgimento dei corsi RSPP e ASPP in modalità di formazione a distanza;
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n. 19/2016: obbligo di designazione e relativa informazione e formazione degli addetti al primo soccorso medico.
Si rammenta che, con gli interpelli di cui all’art. 12, TUS, sono risolti quesiti di ordine generale sull’applicazione della normativa in materia di salute e sicurezza del lavoro. Per espressa disposizione di legge, le indicazioni ministeriali fornite nelle risposte ai quesiti costituiscono criteri interpretativi e direttivi per l’esercizio delle attività di vigilanza (art. 12, co. 3, TUS) assumendo, per questa loro qualità, una funzione quasi scriminante per chi è chiamato ad applicare il TUS (datori di lavoro, dirigenti, preposti, ecc.).
Per comodità di consultazione e per completezza informativa, si uniscono in formato pdf tutti gli interpelli sopracitati. Appare comunque utile soffermarsi sugli interpelli n. 12, n. 13 e n. 17, perché più attinenti alle tematiche affrontate nel sito. In particolare:
- con l’interpello n. 12/2016, il Ministero ha chiarito che la segnaletica e delimitazione di cantiere prevista dal D.M. 10/7/2002 (attuativo dell’art. 30, co. 4, D.P.R. n. 495/1992, “Regolamento di attuazione del Codice della Strada”) può essere intesa anche come recinzione di cantiere ai sensi dell’art. 109 del TUS (cioè idonea ad impedire l’accesso di estranei alle lavorazioni), quando la stessa presenti le caratteristiche richieste. Sicchè occorrerà valutare di volta in volta in relazione al caso concreto, l’eventuale idoneità degli apprestamenti segnaletici previsti per i cantieri stradali fissi o mobili dal detto D.M. 10/7/2002 (artt. 9 e 10, e segnali riportati nella c.d. “Tavola 0” del decreto) anche ai fini dell’art. 109 TUS.
- Con l’interpello n. 13/2016, invece, il Ministero ha affermato che una piattaforma aerea su carro, impiegata al posto di un ponteggio metallico fisso perché migliorativa delle condizioni di sicurezza per l’esecuzione dei lavori previsti, deve essere inserita nella stima dei costi per la sicurezza nel caso in cui il coordinatore per la progettazione la ritenga misura preventiva e protettiva per lavori interferenti. Sul punto, infatti, viene ricordata la previsione dell’allegato XV, punto 4.1, lett. b), D. Lgs. 81/2008 secondo cui la stima dei costi contiene anche le misure preventive e protettive previste nel piano di sicurezza e coordinamento – PSC per lavori interferenti, comprendenti “tra l’altro, le attrezzature di lavoro, definite al punto 1.1.1 lett. d) come qualsiasi macchina, apparecchio, utensile o impianto destinato ad essere usato durante il lavoro ed elencate in modo non esaustivo nell’allegato XV.1 e comprendenti: le gru, autogrù, argani, elevatori ecc.”.
Va evidenziato, quindi, che per l’effetto anche tale costo NON è soggetto a ribasso, atteso il noto divieto di cui al punto 4.1.4. dell’allegato XV, TUS, secondo il quale “i costi della sicurezza così individuati, sono compresi nell'importo totale dei lavori, ed individuano la parte del costo dell'opera da non assoggettare a ribasso nelle offerte delle imprese esecutrici”.
- Infine, con l’interpello n. 17/2016, il Ministero ha precisato che l’attività di soccorso stradale rientra a pieno titolo tra le attività lavorative che si svolgono in presenza di traffico veicolare di cui al Decreto interministeriale 4/3/2013 (attuativo dell’art. 161, co. 2-bis, TUS), anche alla luce del richiamo espresso alle situazioni incidentali all’interno del campo di applicazione del detto D.M. 10/7/2002, già citato sopra nell’interpello n. 12/2016.
Il Decreto interministeriale 4/3/2013 (pubbl., per comunicato, nella G.U. 20/3/2013, n. 67), è disponibile al seguente link:
Pertanto, a giudizio della Commissione del Ministero del Lavoro, “i lavoratori che svolgono attività di soccorso stradale con apposizione di segnaletica temporanea nei casi previsti dal Decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti del 10 luglio 2002 rientrano nel campo di applicazione del Decreto Interministeriale 4 marzo 2013”.
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