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Instancabilmente, la Regione Lazio procede nel fornire indicazioni per l’attuazione della legge regionale 18 luglio 2017, n. 7 sulla rigenerazione urbana.

Va segnalata, infatti, la pubblicazione nel S.O. n. 4 al B.U.R. n. 4 del 14 gennaio 2020 della determinazione dirigenziale n. G18248 del 20 dicembre 2019. Con quest’ultima determinazione, allegata in pdf per pronta consultazione, sono state approvate le “linee guida per la redazione delle deliberazioni e per le elaborazioni cartografiche” per l’applicazione della l.r. n. 7/2017 e succ. mod..

Al di là del titolo del provvedimento, che potrebbe far pensare ad una portata limitata della determinazione dirigenziale di fine 2019, le linee guida recano importanti precisazioni su: (i) finalità e campo di applicazione della legge (par. 1.1); (ii) caratteristiche e differenze tra programmi di rigenerazione urbana, ambiti territoriali di riqualificazione e recupero edilizio ed interventi sulla normativa tecnica di PRG (par. 1.2); (iii) contenuti necessari, eventuali e non ammessi delle deliberazioni (par. 1.3); (iv) indicazioni procedurali da seguire nell’approvazione delle deliberazioni (par. 2); (v) utilità e necessità degli elaborati cartografici (par. 3.1); (vi) individuazione delle porzioni di terreno urbanizzate (par. 3.2 e ss.).

La rilevanza degli argomenti affrontati nelle linee guida, quindi, fa agevolmente comprendere come l’obiettivo delle stesse sia supportare i Comuni “nell’interpretazione ed applicazione della legge e nella predisposizione delle relative deliberazioni” consiliari. Pertanto, si è proceduto ad adeguare anche la voce generale relativa alla rigenerazione urbana in cui, peraltro, viene dato risalto alla circolare approvata con delibera di giunta regionale n. 867 del 14 dicembre 2017, nonché alla copiosa pareristica sin qui intervenuta, tutte liberamente consultabili nella voce generale.

© SONOINGARA_Riproduzione riservata

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Al termine dell'originaria voce dedicata alla Rigenerazione urbana nel Lazio si era dato conto della possibilità, similmente a quanto avvenuto per il cd. Piano Casa, di future direttive per l’applicazione di questo o quell’istituto introdotto dalla legge regionale 18/07/2017, n. 7 e successive modifiche e integrazioni.

Ebbene, nel B.U.R. 04/01/2018, n. 2 è stata pubblicata la deliberazione della Giunta regionale 14/12/2017, n. 867, resa disponibile in anteprima nel sito istituzionale ed allegata in pdf per pronta consultazione, con cui è stato approvato il testo della circolare volta a chiarire “l’effettiva portata e la corretta interpretazione delle disposizioni legislative introdotte con la l.r. 7/2017”, specialmente per ciò che attiene all’introduzione di “diversi strumenti urbanistici innovativi e caratterizzati da una certa complessità e rilevanza attuativa”. Per l'analisi della stessa, inoltre, si invitano i lettori del sito a consultare la voce aggiornata.

Per quanto possa occorrere, infine, si precisa che le campiture in giallo sul documento allegato sono frutto di un’elaborazione redazionale volta a richiamare l’attenzione sugli aspetti di maggior rilievo non essendo, ovviamente, tale campiture presenti nel testo ufficiale.

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In dettaglio, la circolare si occupa dei seguenti profili:

1. Articolo 1 – Finalità e ambito di applicazione

1.1 Edifici ed aree escluse dall’applicazione della legge (art. 1, comma 2, lettere a, b e c)

1.2 non presente nel testo (n.d.r.)

1.3 Applicazione della legge nelle aree naturali protette e nelle zone agricole (art. 1, comma 2, lett. b e c)

1.4 Applicazione della legge nelle aree interessate da beni paesaggistici (art. 1, comma 3)

2. Articolo 2 - Programmi di rigenerazione urbana

2.1 Alloggi per l’edilizia residenziale pubblica e per l’edilizia sociale (art. 2, comma 4, lettera f)

2.2 Interventi di bioedilizia (art. 2, comma 11)

3. Articolo 3 - Ambiti territoriali di riqualificazione e recupero edilizio

3.1 Tipologie di intervento e titoli abilitativi (art. 3, comma 1)

3.2 Interventi di bonifica (art. 3, comma 3)

4. Articolo 4 - Disposizioni per il cambio di destinazione d'uso degli edifici

4.1 Titoli abilitativi (art. 4, comma 1)

4.2 Disposizioni per i cambi d’uso nei centri storici, nelle zone omogenee D e nei Consorzi per lo sviluppo industriale (art. 4, comma 3)

4.3 Disposizioni transitorie (art. 4, commi 4 e 5)

5. Articolo 5 – Interventi per il miglioramento sismico e per l’efficientamento energetico degli edifici

6. Articolo 6 - Interventi diretti

6.1 Tipologia degli interventi, titoli abilitativi e cambio delle destinazioni d’uso (art. 6, commi 1 e 2)

6.2 Interventi per l’adeguamento delle strutture ricettive all’aria aperta (art. 6, comma 5)

7. Articolo 8 - Dotazioni territoriali e disposizioni comuni

7.1 Standard urbanistici di cui agli artt. 3 e 5 del DM 1444/1968 (art. 8, comma 1)

7.2 Deroghe al D.M. 1444/1968 (art. 8, comma 3)

7.3 Parametri edilizi per la progettazione degli interventi e per il rilascio dei titoli abilitativi (art. 8, comma 4)

7.4 Divieto di cumulo delle premialità (art. 8, comma 5)

8. Articolo 9 - Interventi di riordino funzionale dei manufatti ricadenti nelle aree demaniali marittime e lacuali

8.1 Interventi di riordino funzionale dei manufatti (art. 9, comma 2).

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1. INTRODUZIONE

Vasta eco anche nella stampa non specializzata ha suscitato (e, tuttora, sta suscitando) l’approvazione della legge regionale n. 7 del 18/07/2017, pubblicata nel S.O. n. 3 al B.U.R. n. 57 del 18/07/2017, denominata "Disposizioni per la rigenerazione urbana e per il recupero edilizio" (allegata in pdf per pronta consultazione).

La legge, entrata in vigore il 19 luglio 2017, attua nel Lazio la normativa nazionale prevista, fondamentalmente, in due disposizioni: (i) art. 5, comma 9, del decreto-legge 13/05/2011, n. 70 convertito, con modificazioni, nella legge 12/07/2011, n. 106 (cd. Decreto-Sviluppo) in tema di rigenerazione urbana; (ii) art. 2-bis del d.P.R. 06/06/2001, n. 380 (cd. Testo Unico Edilizia) relativo alle deroghe in materia di limiti di distanza tra fabbricati.

L’attuazione di tali disposizioni nazionali, poi, è stata opportunamente accompagnata da una serie di interventi sull’ordinamento regionale (ad es. l.r. 16/04/2009, n. 13 in tema di recupero dei sottotetti), così da incidere profondamente nell’assetto dell’urbanistica regionale. Per comprendere appieno queste ultime modifiche si rinvia al link:

http://www.consiglio.regione.lazio.it/consiglio-regionale/?vw=leggiregionali&sv=vigente

Successivamente, nel B.U.R. 04/01/2018, n. 2 è stata pubblicata la deliberazione della Giunta regionale 14/12/2017, n. 867, resa disponibile in anteprima nel sito istituzionale ed allegata in pdf per pronta consultazione, con cui è stato approvato il testo della circolare volta a chiarire “l’effettiva portata e la corretta interpretazione delle disposizioni legislative introdotte con la l.r. 7/2017”, specialmente per ciò che attiene all’introduzione di “diversi strumenti urbanistici innovativi e caratterizzati da una certa complessità e rilevanza attuativa” (d’ora, in poi, per brevità “Circolare”).

Per quanto possa occorrere si precisa che le campiture in giallo nel documento allegato sono frutto di un’elaborazione redazionale volta a richiamare l’attenzione sugli aspetti di maggior rilievo non essendo, ovviamente, tale campiture presenti nel testo ufficiale della Circolare. Di seguito, quindi, si darà conto anche dei formali chiarimenti intervenuti a cavallo tra il 2017 e il 2018.

Da ultimo, nel S.O. n. 2 al B.U.R. 14/01/2020, n. 4, è stata pubblicata la determinazione 20 dicembre 2019, n. G18248, con la quale sono state approvate le Linee Guida per la redazione delle deliberazioni e per le elaborazioni cartografiche ai fini dell'applicazione della l.r. 7/2017 (d'ora in poi, per brevità, "Linee Guida", allegate in pdf per pronta consultazione). Similmente a quanto avvenuto per la Circolare, quindi, si darà conto anche delle indicazioni delle Linee Guida alle quali, assai opportunamente, hanno fatto seguito la pubblicazione di tavole esemplificative

 

2. RIGENERAZIONE URBANA [profilo (i)]

Per conseguire gli obiettivi di riqualificazione incentivata delle aree urbane degradate, si ricorda che l’art. 5, comma 9, decreto-Sviluppo stabiliva che le Regioni entro 60 giorni dal 13 luglio 2011 (ossia entro il 10 settembre 2011) dovevano approvare specifiche leggi volte ad incentivare interventi di demolizione e ricostruzione che prevedessero quattro linee di azione:

a) riconoscimento di volumetrie aggiuntive come misure premiali;

b) possibilità di delocalizzare le volumetrie in area o aree diverse;

c) ammissibilità di modifiche di destinazioni d’uso “compatibili o complementari”;

d) modificazioni di sagoma necessarie per un’armonizzazione architettonica con gli altri edifici.

Il comma 10 dell’art. 5, Decreto-Sviluppo, in ogni caso, vietava tali interventi per gli edifici abusivi, per gli edifici siti nei centri storici (o, si aggiunge, in zone ad essi assimilati da singole previsioni di NTA), per gli edifici siti in aree ad inedificabilità assoluta, salvo gli edifici per i quali sia stato rilasciato il titolo abilitativo in sanatoria.

Questo, in estrema sintesi, il quadro nazionale.

A livello regionale, quindi, il primo strumento stabilito dalla l.r. 7/2017 è rappresentato dai “programmi di rigenerazione urbana”, che possono essere proposti ai Comuni da privati e da associazioni consortili di recupero urbano (art. 2, l.r.), con la possibilità di approvare varianti semplificate allo strumento urbanistico vigente.

Secondo le indicazioni del punto 1.2 delle Linee Guida, in particolare, il “programma deve avere i caratteri di un progetto urbanistico unitario, da realizzare in modo sistematico, organico e fondamentalmente contestuale, volto a riqualificare/rigenerare l’assetto urbanistico e, di conseguenza, anche edilizio di una determinata porzione urbana”.

La premialità per il rinnovo del patrimonio edilizio esistente, per le opere pubbliche e per le cessioni di aree aggiuntive, arriva fino al 35% della superficie lorda esistente (aumentabile al 40% nel caso in cui la superficie esistente sia ridotta almeno del 10 per cento a favore della superficie permeabile). Nei programmi andrà indicata anche la quota minima del 20% di alloggi di edilizia residenziale pubblica e sociale.

Gli interventi di rigenerazione e recupero sono consentiti nelle porzioni di territorio urbanizzate (cfr. parere 25.3.2020, n. 244887, allegato in pdf per pronta consultazione), su edifici realizzati legittimamente o sanati, trattandosi di una legge a regime e non straordinaria.

Come indicato nel paragrafo 1.1 della circolare, infatti, “il requisito dell’avvenuta realizzazione dell’edificio non è subordinato all’entrata in vigore della legge, per cui sarà certamente possibile applicare la l.r. 7/2017 ad edifici ad oggi inesistenti, ma che verranno realizzati in futuro”. Per quanto riguarda le modalità di computo delle preesistenze edilizie, inoltre, si rinvia all'allegato parere regionale del 3 ottobre 2019, n. 785180.

Gli interventi non possono essere realizzati nelle zone con vincolo di inedificabilità assoluta e nelle aree protette, mentre possono essere realizzati nelle zone qualificate “paesaggio degli insediamenti urbani” dal Piano territoriale paesistico regionale – Ptpr (ossia, con una buona dose di semplificazione, nei centri storici dei Comuni e, più in dettaglio, “quelli evidenziati con apposita campitura rossa” nelle tavole B del PTPR, così paragrafo 1.1 della Circolare). È comunque fatto salvo quanto consentito dai piani di ciascuna area naturale e dalla l.r. 29/1997 (“Norme in materia di aree protette regionali”). Sono state escluse le aree agricole, tranne che in alcune circostanze legate alla presenza di insediamenti riconosciuti dal Ptpr che, si rammenta, è stato approvato in via definitiva con delibera di Consiglio Regionale n. 5 del 2 agosto 2019 (allegata in pdf per pronta consultazione), pubblicata di recente nel B.U.R. n. 13 del 13 febbraio 2020, con l'indicazione dei relativi elaborati. Sono comunque applicabili, in zona agricola, le disposizioni sugli interventi diretti, che consentono incrementi fino al 20% della volumetria o della superficie.

Nello stesso senso, inoltre, appaiono le successive disposizioni dell’art. 17, commi 33 e 34, l.r. 14/08/2017, n. 9 “Misure integrative, correttive e di coordinamento in materia di finanza pubblica regionale. Disposizioni varie”, pubblicata nel B.U.R. 16/08/2017, n. 65. Tali disposizioni, infatti, attribuiscono ai Comuni, anche su proposta di privati, la possibilità di individuare negli “insediamenti urbani storici”, come definiti dal citato PTPR, degli ambiti territoriali nei quali permettere interventi di ristrutturazione edilizia per il recupero edilizio, la riqualificazione architettonica e ambientale, l'adeguamento sismico e l'efficientamento energetico degli edifici esistenti. Il tutto, ovviamente, nel rispetto del d.lgs. 22/01/2004, n. 42 (“Codice dei beni culturali e del paesaggio” e del medesimo PTPR).

Utile anche il chiarimento del paragrafo 1.3 della Circolare, qui di seguito riportato: “…nelle aree naturali protette gli interventi previsti dalla legge sono consentiti se l’area è classificata dal PTPR come paesaggio degli insediamenti urbani e, ove così fosse, se l’intervento non contrasti con la normativa prevista dai piani di assetto approvati ovvero con quella di salvaguardia prevista dalla l.r. 29/1997”, intendendosi per tali quelle “previste dal Capo V della l.r. 24/1998 e dallo stesso PRTP adottato con delibere di Giunta n. 556 del 30 luglio 2007 e n. 1025 del 21 dicembre 2007” e quelle del PTPR “aventi natura prescrittiva e non anche i contenuti aventi meramente natura descrittiva, propositiva e di indirizzo” (così paragrafo 1.4 della Circolare). 

Il comma 93 dell'art. 17 della stessa legge n. 9/2017, inoltre, apporta le seguenti tre modifiche alla citata l.r. n. 7/2017. In particolare, all'alinea del comma 2, dell'articolo 1, sopprime le parole da: "prioritariamente" fino a: "lettera c)", sostituendo inoltre nel comma 5 dell'art. 1 e nel comma 9 dell'art. 8 la parola "progetti" con "programmi.

A livello più generale, si ricorda altresì che l’art. 1, comma 460 della legge 11/12/2016, n. 232, come modificato dall’art. 1-bis della legge 04/12/2017, n. 172, stabilisce che a partire dal 1° gennaio 2018, i proventi dei titoli abilitativi edilizi e delle sanzioni in materia edilizia devono essere vincolati alle seguenti destinazioni: “realizzazione e manutenzione ordinaria e straordinaria delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria; risanamento di complessi edilizi compresi nei centri storici e nelle periferie degradate; interventi di riuso e di rigenerazione; interventi di demolizione di costruzioni abusive; acquisizione e realizzazione di aree verdi destinate a uso pubblico; interventi di tutela e riqualificazione dell'ambiente e del paesaggio, anche ai fini della prevenzione e della mitigazione del rischio idrogeologico e sismico e della tutela e riqualificazione del patrimonio rurale pubblico; interventi volti a favorire l'insediamento di attività di agricoltura nell'ambito urbano, spese di progettazione per opere pubbliche”, così da costituire un'ulteriore leva per procedere nel senso indicato dalla l.r. 7/2017.

 

3. DISTANZE TRA I FABBRICATI. DEROGHE FUNZIONALI [profilo (ii)]

Per quanto riguarda il secondo profilo, invece, ossia la possibilità di deroghe in materia di limiti di distanza tra fabbricati, la l.r. n. 7/2017 rappresenta la trasposizione nell’ordinamento regionale dell’art. 2-bis, d.P.R. 380/2001 che, introdotto nel Testo Unico Edilizia dalla legge 09/08/2013, n. 98 (di conversione del decreto-legge 23/06/2013, n. 6, cd. Decreto del Fare), riconosce normativamente i principi sanciti dalla risalente Corte costituzionale nella sentenza n. 232 del 16/06/2005 in tema di rapporti tra disciplina delle distanze tra costruzioni (stabilita nel codice civile e riservata alla competenza esclusiva statale) e disciplina del governo del territorio (o, come si soleva dire, disciplina urbanistico-edilizia oggetto di legislazione concorrente Stato-Regioni).

Qui di seguito uno stralcio della sentenza della Corte costituzionale n. 232/2005 che aiuta a capire i rapporti tra la normativa nazionale e quella regionale: “In materia di distanze tra fabbricati, primo principio, fissato in epoca risalente ma ancora di recente ribadito, è che la distanza minima sia determinata con legge statale, mentre in sede locale, sempre ovviamente nei limiti della ragionevolezza, possono essere fissati limiti maggiori.

In secondo luogo, l'ordinamento statale consente deroghe alle distanze minime con normative locali, purché però siffatte deroghe siano previste in strumenti urbanistici funzionali ad un assetto complessivo ed unitario di determinate zone del territorio. Tali principi si ricavano dall'art. 873 cod. civ. e dall'ultimo comma dell'art. 9 del d.m. 2 aprile 1968, n. 1444, emesso ai sensi dell'art. 41-quinquies della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (introdotto dall'art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765), avente efficacia precettiva e inderogabile, secondo un principio giurisprudenziale consolidato.

I suindicati limiti alla possibilità di fissare distanze inferiori a quelle previste dalla normativa statale trovano la loro ragione nel rilievo che le deroghe, per essere legittime, devono attenere agli assetti urbanistici e quindi al governo del territorio e non ai rapporti tra vicini isolatamente considerati in funzione degli interessi privati dei proprietari dei fondi finitimi”.

Per quanto riguarda i criteri per il calcolo della distanza tra edifici antistanti e la nozione di pareti finestrate, infine, si rinvia alla sentenza del Consiglio di Stato, sez. V, 11/09/2019, n. 6136, allegata in pdf per pronta consultazione.

Ciò chiarito, gli ambiti territoriali “urbani” di riqualificazione e recupero edilizio di cui all'art. 3, l.r. 7/2017 potranno essere individuati dai Comuni per consentire interventi di ristrutturazione edilizia e urbanistica o di demolizione e ricostruzione, con una volumetria o una superficie lorda aggiuntiva al massimo del 30%. Tali ambiti devono essere individuati e circoscritti e, soprattutto, non possono coincidere con zone omogenee di piano regolatore o, addirittura, con l’intero territorio comunale urbanizzato (così, punto 1.2 Linee Guida). Anche in questo caso sono possibili cambi di destinazione d’uso e delocalizzazioni, come pure limitate deroghe agli standard previsti nel d.m. 1444/1968, previsti anche dal cd. decreto Sblocca-Cantieri.

A tale riguardo il paragrafo 7.2 della Circolare, inoltre, associa i seguenti chiarimenti: “il comma 3 dell’art. 8” – l.r. 7/2017 – “consente per la realizzazione delle premialità previste dalla norma di derogare, ai sensi di quanto previsto dall’art. 2 bis del DPR 380/2001, ai limiti di distanza tra fabbricati di cui all’art. 9 del D.M. 1444/1968, mantenendo le distanze preesistenti, con eventuale modifica delle stesse, nel rispetto della distanza minima di 10 m tra pareti finestrate. Ugualmente per le medesime finalità è possibile derogare ai limiti di densità edilizia di cui all’art. 7 del D.M. 1444/1968, così come alle altezze massime consentite dall’art. 8 dello stesso decreto ministeriale. Merita, infine, chiarire che le deroghe sono consentite anche per l’applicazione di interventi che determinano una variazione della destinazione d’uso degli edifici”. Per quanto riguarda il tema "mutamento di destinazione d'uso", invece, si consiglia la lettura del parere regionale n. 707534 del 9/9/2019, allegato in pdf per pronta consultazione, in cui sono svolte interessanti considerazioni sul rapporto tra la normativa regionale e l'art. 23-ter, Testo Unico Edilizia.

Come nei programmi di rigenerazione, sono previste premialità aggiuntive del 5% in caso di ricorso a concorsi di progettazione. Le disposizioni sugli “ambiti” di riqualificazione e recupero edilizio non si applicano agli insediamenti urbani storici, individuati come tali dal Piano territoriale paesistico regionale – Ptpr.

 

4. INTERVENTI DIRETTI

Nel quadro delle finalità della l.r. 7/2017, poi, l’art. 6 ammette ristrutturazioni edilizie o demolizioni e ricostruzioni con un incremento fino al 20% della volumetria o della superficie lorda esistente, ad eccezione degli edifici produttivi in cui l’incremento è fino al 10% della superficie coperta. Gli interventi diretti, non consentiti negli insediamenti urbani storici, possono essere attuati direttamente senza che vi sia bisogno di alcuna forma di regolamentazione da parte dei comuni (cfr. punto 1.2 Linee Guida)

Sull'individuazione degli edifici produttivi si rinvia, per brevità, al parere regionale 09/09/2019, n. 707306 (allegato in pdf per pronta consultazione); sul tema della ricostruzione e ricostruzione anche parziale, nonché sull'impossibilità di realizzare siffatti interventi negli insediamenti urbani storici, utile è la consultazione del parere regionale 29/03/2018, n. 186356 (allegato in pdf per pronta consultazione), mentre per l'esclusione dal computo dei locali destinati a volumi tecnici o locali accessori si rinvia al parere regionale 10/07/2018, n. 415987 (anch'esso allegato in pdf per pronta consultazione).

Cinema e centri culturali polifunzionali possono, ai sensi dell’art. 28, comma 5, legge 14/11/2016, n. 220, essere oggetto di interventi di ristrutturazione edilizia e di demolizione e ricostruzione sempre con l’incremento del 20% della volumetria o della superficie lorda esistente. All’interno di teatri, sale cinematografiche e centri culturali saranno consentiti cambi di destinazione d’uso fino al 30% per aprire attività commerciali, artigianali e per servizi.

Sotto questo aspetto, inoltre, si segnala la pubblicazione nella G.U. n. 239 del 12/10/2017 del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 04/08/2017 (allegato per pronta consultazione) con cui sono state stabilite le disposizioni applicative del piano straordinario per il potenziamento del circuito delle sale cinematografiche e polifunzionali previsto dall’art. 28 della citata legge n. 220/2016. In particolare, sono previsti contributi a fondo perduto per “30 milioni di euro per ciascuno degli anni 2017, 2018 e 2019, a 20 milioni di euro per il 2020 e a 10 milioni di euro per il 2021” che, con le modalità indicate nel predetto d.P.C.M., possono essere utilizzati anche per “lavori edili strettamente funzionali alla realizzazione di nuove sale, al ripristino di sale inattive, alla ristrutturazione e all’adeguamento strutturale e tecnologico delle sale cinematografiche” (ossia anche sfruttando le opportunità previste dalla legge sulla rigenerazione urbana nel Lazio).

 

5. INTERVENTI CONVENZIONATI

L’art. 7, l.r. 7/2017 valorizza ulteriormente l’art. 28-bis del Testo Unico dell’Edilizia sul permesso di costruire convenzionato, applicabile a tutti gli interventi come sopra sintetizzati, consentendo quindi la possibilità di modulare il termine di validità per l’attuazione del progetto unitario convenzionato in relazione a stralci funzionali. Si tratta di un istituto innovativo che inizia ad essere applicato nella prassi ed essere oggetto di prime pronunce da parte del giudice amministrativo.

Utile, quindi, appare la lettura della sentenza del Tar Lombardia, sede Brescia, sez. I, 08/06/2017, n. 741, allegata anch’essa in pdf per pronta consultazione, in cui viene fornita un’analisi approfondita del nuovo meccanismo para-convenzionale. Ad essa, inoltre, va affiancata la lettura del parere reso dalla Regione Lazio - Direzione Regionale Urbanistica - datato 15/01/2018, allegato in pdf per pronta consultazione, che delinea alcuni presupposti utili per l'applicazione di siffatto istituto proprio alla luce dell'art. 7, l.r. 7/2017.

 

6. ALTRE DISPOSIZIONI DI RILIEVO

L’art. 5, l.r. n. 7/2017 disciplina gli interventi per l’efficienza energetica e il miglioramento sismico: negli strumenti urbanistici generali vigenti potranno essere previsti, in questi casi e mediante l'indispensabile individuazione con delibera di consiglio comunale, ampliamenti del 20% della volumetria o della superficie utile esistente degli edifici a destinazione residenziale, per un incremento massimo di 70 mq anche con un corpo edilizio separato, se possibile o se non si compromette “l’armonia estetica del fabbricato”.

Il paragrafo 5 della Circolare, inoltre, chiarisce opportunamente quanto segue “la condizione inderogabile che deve essere rispettata per beneficiare del suddetto ampliamento è che si intervenga sull’intero corpo di fabbrica preesistente con interventi di miglioramento sismico (nel rispetto delle Norme Tecniche per le Costruzioni), se necessari ai sensi del comma 2 del medesimo articolo, e comunque mediante interventi che producano un miglioramento delle prestazioni energetiche dell’edificio”.

Nelle zone colpite dal terremoto del Centro Italia del 2016 (cd. Cratere sismico) gli ampliamenti potranno essere autorizzati anche in un altro lotto dello stesso comune, ma non in zona agricola. Altre disposizioni in materia di sisma sono state previste per la riformulazione degli strumenti urbanistici dei comuni del Cratere.

Per quanto riguarda, infine, il recupero dei sottotetti disciplinato dalla citata l.r. 13/2009 è stato reso applicabile a quelli ultimati al 1° giugno 2017, in luogo della precedente scadenza del 31 dicembre 2013 che, differentemente da quanto affermato da alcuni non addetti ai lavori, non può essere considerata un condono mascherato.

Infatti, la l.r. 13/2009 prevede che, solo in presenza di determinati requisiti igienico-sanitari (ad es. rapporti aeroilluminanti, opportunamente adattati alla fisionomia del vano), il sottotetto possa essere adibito ad abitazione, previo pagamento degli oneri concessori (cd. Bucalossi). Il tutto con evidente non ulteriore impiego di suolo (già) edificato. La l.r. 13/2009, almeno in astratto, è invero cumulabile anche con la legge sulla rigenerazione urbana (cfr. parere 11.3.2020, n. 2166230, allegato in pdf per pronta consultazione). Inoltre, questa normativa disciplina a livello urbanistico-edilizio il recupero dei volumi esistenti in copertura che, sovente, danno luogo a contenziosi in ambito condominiale per la loro eventuale riconducibilità all’art. 1127 cod. civ. che riconosce al proprietario dell’ultimo piano la possibilità di edificare.

In sintesi, accanto alle conseguenze positive per il territorio sopra tratteggiate, rimane fermo il rispetto delle altre previsioni del codice civile che, per quanto sopra osservato dalla sentenza n. 232/2005 della Corte costituzionale, non può essere certo inciso da una legge regionale. Inoltre, il sottotetto riconosciuto abitabile è così dotato di un titolo edilizio che, con ogni evidenza, dà sicurezza nella circolazione dei rapporti giuridici ex art. 46, d.P.R. 380/2001 cit..

 

7. PRECISAZIONI. MODULISTICA

Va doverosamente precisato che le considerazioni fin qui espresse non esauriscono l’ambito di applicazione della l.r. 7/2017 e che, al di là del monitoraggio sull’attuazione della legge affidato al Consiglio e alla Giunta, potranno essere emanate ulteriori indicazioni operative per chiarire alcuni aspetti della medesima legge (oggetto, come anticipato nell’introduzione, della prima circolare esplicativa del 18/12/2017).

Infine, sempre nell’ambito urbanistico-edilizio, si segnala che anche nella Regione Lazio è stata ormai adottata la modulistica approvata lo scorso 4 maggio 2017 dalla Conferenza Unificata su SCIA e dintorni di cui ci eravamo occupati in precedenza. Si ritiene, quindi, di fare una cosa utile per i visitatori del sito mettere a disposizione la modulistica approvata con determinazione regionale n. G08525 del 19/06/2017, consultabile al seguente link:

http://www.regione.lazio.it/rl_suap/?vw=documentazioneDettaglio&id=41416

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Questa l’impressione superficiale che si trae dalla lettura dell’art. 65-bis della legge 21/06/2017, n. 96, con cui è stato convertito in legge, con modificazioni, il decreto-legge 24/04/2017, n. 50, comunemente definito “Manovrina”. Ma andiamo per ordine.

***

1. L’art. 65-bis, l. 96/2017 sostituisce nell’art. 3, comma 1, lettera c), testo unico dell’edilizia, approvato con d.P.R. 06/06/2001, n. 380, relativo agli interventi di “restauro e risanamento conservativi”, le parole “ne consentano destinazioni d'uso con essi compatibili” con le parole “ne consentano anche il mutamento delle destinazioni d'uso purché con tali elementi compatibili, nonché conformi a quelle previste dallo strumento urbanistico generale e dai relativi piani attuativi” (in appendice il testo coordinato).

In questo modo, in dichiarata reazione ad una sentenza della Corte di cassazione penale, sez. III, 14/02/2017, n. 6873 (allegata in pdf per pronta consultazione) relativa alla trasformazione di un immobile storico nella Città di Firenze, cui sono dedicate le seguenti considerazioni, sarà possibile far rientrare negli interventi di restauro e destinazione d’uso (gli unici consentiti in molti Centri storici, in primis Firenze) anche quelli implicanti il mutamento della destinazione d’uso. La sentenza n. 6873/2017 della Cassazione penale, che larga eco aveva avuto anche fra i non addetti ai lavori, aveva affermato che il cambio di destinazione d'uso di immobili, a prescindere dai lavori, e dunque anche per interventi modesti, configurava in ogni caso una ristrutturazione edilizia “pesante”, così da richiedere sempre e comunque il permesso di costruire, in luogo della D.I.A. (oggi sostituita dalla SCIA di cui al d.lgs. 25/10/2016, n. 222), paralizzando di fatto l’attività edilizia ed amministrativa in molti Comuni.

2. Tuttavia, anche alla luce della nuova definizione di tali interventi, non sembra essere stato oggetto di sufficiente approfondimento il fatto che il vero parametro condizionante la destinazione e le opere è la compatibilità del cambio di destinazione d’uso con gli elementi tipologici, formali e strutturali dell’edificio, non la questione sul titolo abilitativo necessario (permesso di costruire in luogo della SCIA). Detto in altri termini, il cambio di destinazione d’uso di edifici, tramite interventi di restauro e risanamento conservativo e dietro presentazione della SCIA (o, prima della novella, tramite permesso di costruire), non sarà comunque possibile quando le destinazioni d’approdo non siano consentite dallo strumento urbanistico generale e dai relativi piani attuativi e non rispettino il carattere fisico/funzionale dei medesimi edifici.

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A nostro avviso si tratta di una riforma affrettata che, in luogo di affrontare le inevitabili antinomie presenti nella normativa urbanistico-edilizia (nazionale, regionale o comunale), sembra piuttosto assecondare impressioni epidermiche degli operatori.

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Appendice

Art. 3, comma 1, lett. c), T.U.E. (testo vigente al 7.7.2017)

“"interventi di restauro e di risanamento conservativo", gli interventi edilizi rivolti a conservare l'organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un insieme sistematico di opere che, nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell'organismo stesso, ne consentano anche il mutamento delle destinazioni d'uso purché con tali elementi compatibili, nonché conformi a quelle previste dallo strumento urbanistico generale e dai relativi piani attuativi. Tali interventi comprendono il consolidamento, il ripristino e il rinnovo degli elementi costitutivi dell'edificio, l'inserimento degli elementi accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze dell'uso, l'eliminazione degli elementi estranei all'organismo edilizio”

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In precedenza avevamo pubblicato nel sito una sintesi della nuova conferenza di servizi in attuazione della legge 07/08/2015, n. 124 cd. Riforma Madia della Pubblica Amministrazione (https://www.sonoingara.it/2016-10-06-14-30-37/edilizia-pubblica/item/48-sintesi-della-nuova-conferenza-di-servizi).

Oggi, il processo di semplificazione si arricchisce con l’entrata in vigore di altri due decreti attuativi e, in particolare, del D. Lgs. 30/06/2016, n. 126 e del D. Lgs. 25/10/2016, n. 222, comunemente definiti dagli addetti ai lavori SCIA 1 e SCIA 2.

Il primo decreto (126/2016) ha disposto rilevanti modifiche alla legge sul procedimento amministrativo ossia alla legge 07/08/1990, n. 241 introducendo, appunto, una disciplina anche di dettaglio della segnalazione certificata di inizio attività e del silenzio-assenso negli artt. 18, 18-bis e 19 legge n. 241/1990.

Il secondo decreto (222/2016) procede ad una ricognizione delle attività private in materia di edilizia, ambiente e commercio, procedendo ad un riordino dei relativi regimi autorizzativi (ad es. soppressione della comunicazione di inizio lavori – cd. CIL e della denuncia di inizio attività – cd. DIA, introduzione della segnalazione certificata di agibilità su iniziativa del privato in luogo del certificato di agibilità rilasciato dal Comune).

Entrambi i decreti sono stati preceduti dall’intesa in sede di Conferenza unificata e, quindi, non dovrebbero essere interessati dagli effetti della nota sentenza della Corte costituzionale 25/10/2016, n. 251 (cfr. pdf in pronta consultazione) che ha dichiarato illegittime alcune disposizioni della legge n. 124/2015 (servizi pubblici, dirigenza, dirigenza sanitaria, licenziamento disciplinare, società partecipate) nella parte in cui prevedono che i relativi decreti legislativi fossero adottati solo previo parere della Conferenza unificata e non con la preventiva intesa.

Si tratta, in dettaglio, di due decreti legislativi che non sono stati più adottati, mentre gli altri tre (ossia, rispettivamente il D. Lgs. 04/08/2016, n. 171, il D. Lgs. 20/06/2016, n. 116 e il D. Lgs. 19/08/2016, n. 175) erano già in vigore al momento della sentenza della Consulta. Per eventuali approfondimenti, si consiglia la lettura del parere del Consiglio di Stato, Commissione speciale n. 83 del 17/01/2016 (allegato in pdf per pronta consultazione),

Si ritiene utile, quindi, mettere a disposizione dei lettori del sito le due guide elaborate dal Dipartimento della funzione pubblica nelle due distinte versioni “per i cittadini” (più snella) e “per gli addetti ai lavori” (più approfondita) che, come si legge nel sito istituzionale, costituisce “uno strumento per far conoscere le nuove disposizioni agli operatori delle amministrazioni pubbliche e per promuovere tra cittadini e imprese le nuove opportunità che la legge offre loro”.

A corredo, infine, dei due documenti si mette a disposizione anche una serie di F.A.Q. elaborate dal medesimo Dipartimento che, con l’ormai consolidato metodo “domanda e risposta”, fornisce una serie di informazioni di base sui principali quesiti che possono ricorrere nella prassi.

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In una precedente occasione si era avuto modo di soffermarsi sui limiti alla potestà legislativa regionale in tema di edilizia privata. A distanza di poco più di un mese dalla sentenza n. 231 del 3.11.2016, la Corte Costituzionale torna ad occuparsi della legislazione regionale ligure per affermare, con la sentenza n. 272 del 16.12.2016 (qui allegata in pdf per pronta consultazione), l’illegittimità della norma che esclude dalla preventiva autorizzazione sismica gli interventi sul patrimonio edilizio soggetti a SCIA, contrastando questa disposizione “con il principio fondamentale secondo cui, nelle zone sismiche, l’autorizzazione scritta del competente ufficio tecnico della regione condiziona l’effettivo inizio di tutti i lavori, nel senso che in mancanza di essa il soggetto interessato non può intraprendere alcuna opera, pur se in possesso del prescritto titolo abilitativo edilizio”.

Per giungere a queste conclusioni sulla necessità della preventiva autorizzazione del cd. Genio Civile, come viene tradizionalmente qualificata l’autorizzazione prevista dall’art. 94, d.P.R. 380/2001 (cd. Testo Unico Edilizia – TUE), la sentenza n. 272/ 2016 ricorda che “le disposizioni contenute nel Capo IV del TUE, rubricato «Provvedimenti per le costruzioni con particolari prescrizioni per le zone sismiche» … assumono la valenza di «principio fondamentale»”, stabilendo “determinati adempimenti procedurali, quando rispondono ad esigenze unitarie, da ritenere particolarmente pregnanti di fronte al rischio sismico”.

In altri termini, osserva la Consulta,l’intera normativa riguardante le opere da realizzarsi in zone dichiarate sismiche ha come ambito di applicazione oggettivo non solo le nuove costruzioni, ma «tutte le costruzioni la cui sicurezza possa comunque interessare la pubblica incolumità», così che “la circostanza che l’opera da realizzare consista in interventi sul patrimonio edilizio esistente – alcuni dei quali possono anche presentare rilevante impatto edilizio, come la manutenzione straordinaria, consistente in frazionamenti ed accorpamenti di unità immobiliari, il restauro e il risanamento conservativo, la ristrutturazione edilizia, anche quella comportante la demolizione e ricostruzione di edifici esistenti (interventi tutti rientranti nel campo di applicazione dell’art. 21-bis della legge della Regione Liguria 6.6.2008, n. 16, recante «Disciplina dell’attività edilizia») – non mette in dubbio il fatto che possa trattarsi comunque di una costruzione da realizzarsi in zona sismica, come tale ricompresa nell’ambito di applicazione dell’art. 94 del TUE”. A ciò si aggiunga, conclude la Corte, che “l’autorizzazione preventiva costituisce uno strumento tecnico idoneo ad assicurare un livello di protezione dell’incolumità pubblica indubbiamente più forte e capillare rispetto al meccanismo del controllo ex post ed eventuale, proprio della SCIA”.

Per gli indispensabili approfondimenti, in uno con il richiamo alle precedenti sentenze della Corte costituzionale, si consiglia la lettura dell’allegata sentenza, cui ha fatto seguito, pochi giorni più tardi (21.12.2016), la sentenza n. 282 del 2016(parimenti allegata in pdf per pronta consultazione) sulla normativa regionale delle Marche in tema di edilizia dichiarata in più parti illegittima.

 

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La Corte costituzionale, con la sentenza n. 231 del 3 novembre 2016 (allegata in pdf per pronta consultazione), fissa nuovamente i limiti della potestà legislativa regionale in tema di governo del territorio. Al di là della normativa regionale dichiarata illegittima, infatti, la Consulta precisa l’ambito di azione della legislazione regionale con particolare riferimento ai titoli abilitativi edilizi, siano essi di origine “privata” (CIL, CILA, SCIA, DIA) o “pubblica” (PdC), necessari per realizzare gli interventi in materia. Potete leggere il commento alla sentenza al seguente link https://www.sonoingara.it/index.php?option=com_k2&view=item&id=56:corte-costituzionale-limiti-alla-potesta-legislativa-regionale&Itemid=160

 

 

 

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La Corte costituzionale, con la sentenza n. 231 del 3 novembre 2016 (allegata in pdf per pronta consultazione), fissa nuovamente i limiti della potestà legislativa regionale in tema di governo del territorio. Al di là della normativa regionale dichiarata illegittima, infatti, la Consulta precisa l’ambito di azione della legislazione regionale con particolare riferimento ai titoli abilitativi edilizi, siano essi di origine “privata” (CIL, CILA, SCIA, DIA) o “pubblica” (PdC), necessari per realizzare gli interventi in materia.

Traendo spunto da questioni apparentemente minori (se, ad esempio, l’installazione di nuovi impianti, pur non comportanti la creazione di volumetria, sia soggetta a CILA o SCIA), la sentenza n. 231/2016 ribadisce nel punto 2 che “pur non essendo precluso al legislatore regionale di esemplificare gli interventi edilizi che rientrano nelle definizioni statali, tale esemplificazione, per essere costituzionalmente legittima, deve essere coerente con le definizioni contenute nel testo unico dell’edilizia” di cui al d.P.R. 380/2001 (Testo unico edilizia “TUE”). Per giungere a queste conclusioni sono richiamate, tra l’altro, la sentenze n. 303 del 2003, n. 309 del 2011, n. 259 del 2014. Le Regioni, prosegue la sentenza, “possono sì estendere la disciplina statale dell’edilizia libera ad interventi “ulteriori” rispetto a quelli previsti dai commi 1 e 2 dell’art. 6 del TUE, ma non anche differenziarne il regime giuridico, dislocando diversamente gli interventi edilizi tra le attività deformalizzate, soggette a CIL e CILA”.

Di particolare interesse, inoltre, appaiano le puntualizzazioni in tema di rapporti tra DIA e permesso di costruire. Il punto 5 della sentenza n. 231/2016, infatti, afferma che “La previsione della DIA “obbligatoria” come modello procedimentale sostitutivo del permesso di costruire, anziché come modello alternativo (secondo quanto previsto nel TUE) … rappresenta un disallineamento non consentito della disciplina regionale rispetto a quella statale. La facoltà per il privato, prevista dal legislatore statale, di chiedere il permesso di costruire o di presentare, alternativamente, denuncia di inizio di attività per la realizzazione degli interventi previsti all’art. 22, comma 3, del TUE, ricade nella disciplina dei titoli abilitativi, e quindi tra i principi fondamentali della materia concorrente del «governo del territorio». L’ordinamento statale attribuisce una particolare considerazione all’interesse del privato a munirsi di un assenso esplicito – anche a garanzia della migliore certezza delle situazioni giuridiche, tanto più rilevante quando, come nella materia edilizia, possano sopravvenire interventi interdittivi dell’amministrazione – come è confermato dal successivo comma 7, del medesimo art. 22 del TUE, il quale fa comunque sempre salva la possibilità per l’interessato di chiedere il rilascio del permesso di costruire per interventi che sarebbero realizzabili con la mera presentazione della denuncia di inizio attività”.

Da qui, la dichiarazione di illegittimità di una serie di previsioni della Legge Reg. Liguria n. 12/2015 in conseguenza della quale, tra l’altro, le opere di arredo e l’installazione di nuovi impianti debbono essere assoggettate a DIA, le ristrutturazioni nelle cd. zone A – con cambio di destinazione d’uso – devono essere precedute dalla “super-DIA” e l’esonero dal contributo di costruzione non può applicarsi – sempre e comunque – in caso di frazionamento di unità immobiliari. Come osservato dai primi commentatori (cfr. L. Saporito, Il Sole 24 Ore, 4/11/2016, p. 48, riportato nella rassegna stampa della Corte costituzionale), quindi, la sentenza n. 231/2006 costituisce un “monito anche per altre regioni, in quanto sottolinea la prevalenza dell’ordinamento statale (il testo unico 380/2001)”.

Infine, per il dettaglio delle disposizioni scrutinate e delle relative motivazioni si rinvia alla lettura della sentenza che, oggetto dell’udienza pubblica del 20 settembre 2016, è stata depositata in cancelleria il 3 novembre 2016.

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Con Avviso di rettifica pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 15 luglio 2016 n. 164, sono stati corretti gli errori materiali contenuti nel testo del nuovo Codice dei Contratti Pubblici (D. Lgs. 18 aprile 2016, n. 50, pubblicato nel Supplemento Ordinario N. 10/L alla G.U. - Serie gen. - del 19 aprile 2016, n. 91).
Si rende disponibile per comodità di consultazione il testo del Codice aggiornato da Normattiva a seguito delle correzioni.

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