Avv Saraceni

Avv Saraceni

Premessa - Applicazione

Il D. L. 18 aprile 2019, n. 32 (cd. Sblocca Cantieri) rubricato “Disposizioni urgenti per il rilancio del settore dei contratti pubblici, per l’accelerazione degli interventi infrastrutturali, di rigenerazione urbana e di ricostruzione a seguito di eventi sismici” (in G.U. n. 92 del 18 aprile 2019), reca (all’art. 1) numerose disposizioni modificative del Codice dei contratti pubblici (“Codice”), allo scopo di superare le principali criticità manifestatesi nei tre anni di applicazione del Codice (D. Lgs. 50/2016, così come già modificato dal D. Lgs. 56/2017, cd. Correttivo); inoltre (con l’art. 2 del D.L. 32/2019) sono state anticipate alcune disposizioni del Codice della crisi di impresa, modificando l’art. 110 D. Lgs. 50/2016 s.m.i.

Il D.L. Sblocca cantieri è entrato in vigore il 19 aprile 2019, con applicazione (ai sensi dell’art. 1, comma 3 del D.L.) delle norme modificative del Codice dei contratti pubblici alle procedure attivate mediante la pubblicazione dei relativi bandi od avvisi successivamente al 19/4/2019, ovvero con la spedizione delle lettere di invito, in caso di contratti senza pubblicazione di bandi o avvisi, successivamente alla medesima data del 19/4/2019.

Il citato D.L. è stato convertito con modificazioni nella Legge 14 giugno 2019, n. 55 (in G.U. n. 140 del 17/6/2019) entrata in vigore il 18 giugno 2019.

La legge di conversione ha fatto salvi gli effetti del decreto, stabilendo espressamente (art. 1, comma 2) che “Restano validi gli atti e i provvedimenti adottati e sono fatti salvi gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla  base dell'articolo 1 del medesimo decreto-legge 18 aprile 2019, n. 32.

Al riguardo, vale subito rilevare che la Legge 55/2019, malgrado l’apparente riscrittura di (quasi) tutte le disposizioni modificative del Codice introdotte dal D.L. sblocca cantieri (oltre 50), in buona sostanza ha confermato le disposizioni del D.L. (con limitate innovazioni/precisazioni), prevedendone tuttavia in alcuni casi l’applicazione “temporanea” sino al 31/12/2020.

Difatti, l’art. 1 della L. 55/2019 reca sia modifiche al Codice dei contratti pubblici qualificabili per comodità espositiva come “definitive”, sia modifichetemporanee, da valersi cioè per il periodo di tempo indicato dalla legge, consistenti in taluni casi, come indicato nella rubrica dell’articolo, nella “sospensione sperimentale dell'efficacia di disposizioni in materia di appalti pubblici”.

Di seguito l’esame delle dette modifiche.

A) Modifiche temporanee soggette a verifica degli effetti

Nelle more della riforma complessiva del settore e nel rispetto dei principi e delle norme sancite dall'Unione europea, in particolare delle Dir. 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE, la legge di conversione ha innanzitutto stabilito, con una formula alquanto originale, la sospensione sperimentalefino al 31 dicembre 2020 delle disposizioni del Codice che prevedono: i) l’obbligo dei Comuni non capoluogo di provincia di procedere agli acquisti (di lavori, servizi e forniture) mediante centrali di committenza e/o stazione unica appaltante; ii) il divieto di appalto integrato; iii) l’obbligo di nominare i Commissari di gara scegliendoli nell’Albo istituito presso l’ANAC.

Quanto sopra al dichiarato scopo “di rilanciare gli investimenti pubblici e di facilitare l'apertura dei cantieri per la realizzazione delle opere pubbliche”.

Sino alla predetta data, pertanto, non si applicano le seguenti norme del D. Lgs. 50/2016 s.m.i.:

1)

Art. 37, comma 4 D. Lgs. 50/2016 s.m.i.: quanto all'obbligo per i Comuni non capoluogo di provincia, di avvalersi delle modalità ivi indicate per l’affidamento dei contratti pubblici.

Pertanto, sino al 31/12/2020, tali Comuni possono procedere direttamente e autonomamente all’acquisizione di forniture e servizi di importo inferiore a 40.000 euro e di lavori di importo inferiore a 150.000 euro senza dover ricorrere obbligatoriamente alle centrali di committenza (anche costituite da unioni o consorzi di comuni) o a soggetti aggregatori qualificati o alla stazione unica appaltante costituita presso le province, città metropolitane o enti di area vasta.

Restano fermi per tali soggetti gli obblighi di ricorso al MEPA previsti dalle vigenti disposizioni in materia di contenimento della spesa.

2)

Art. 59, comma 1, quarto periodo, D. Lgs. 50/2016 s.m.i.: nella parte in cui vieta il ricorso all'affidamento congiunto della progettazione e dell'esecuzione di lavori.

In sostanza, quindi, viene meno fino al 31/12/2020il divieto di appalto integrato, consentendo in maniera generalizzata e non più derogatoria, per tale periodo di tempo, di affidare congiuntamente la progettazione e la realizzazione dei lavori.

Si rammenta, infatti, che le precedenti modifiche al Codice, avevano mantenuto la regola generale del divieto di appalto integrato, con alcune deroghe, stabilite in ragione della peculiarità dell’oggetto dell’appalto ovvero della tipologia di schema contrattuale utilizzato, ovvero ancora in via transitoria, per consentire alle stazioni appaltanti l’ordinato adeguamento al nuovo regime introdotto con il D. Lgs. 50/2016, che imponeva alle stazioni appaltanti di porre a base di gara il progetto esecutivo.

In particolare, fermo restando il detto divieto, le stazioni appaltanti potevano derogarvi, motivando adeguatamente in maniera puntuale e specifica sui presupposti della deroga (art. 59, co. 1 ter, D. Lgs. 50/2016 s.m.i.): i) nei casi in cui l'elemento tecnologico o innovativo delle opere oggetto dell'appalto fosse nettamente prevalente rispetto all'importo complessivo dei lavori (art. 59, co. 1 bis); ii) nei casi di: affidamento a contraente generale, finanza di progetto, affidamento in concessione, partenariato pubblico privato, contratto di disponibilità, locazione finanziaria, nonché per le opere di urbanizzazione a scomputo di cui all'art. 1, comma 2, lett. e) del Codice; iii) in via transitoria alla duplice condizione che il progetto definitivo fosse approvato entro il 31/12/2020 e che il bando fosse pubblicato entro i successivi 12 mesi (co. 4-bis, art. 216 del Codice, introdotto dal D.L. sblocca cantieri).

Al ricorrere delle ipotesi derogatorie soprarichiamate, le stazioni appaltanti, fermo l’obbligo di specifica motivazione, potevano quindi procedere all’affidamento congiunto di progettazione (esecutiva o anche definitiva in caso di Partenariato pubblico privato e di affidamento a contraente generale) e di realizzazione, ponendoa base di gara il progetto definitivo (o preliminare/di fattibilità), anziché l’esecutivo (art. 59, commi 1, 1 bis, 1 ter, ed art. 216, co. 4 bis del Codice, come modificati dal D. Lgs. 56/2017, cd. Correttivo e dal D.L. sblocca cantieri).

Considerata la generalizzata sospensione sino al 31/12/2020 introdotta dalla L. 55/2019 (art. 1, co.1, lett. b)del divieto di affidamento congiunto di progettazione ed esecuzione, sembra ora possibile ritenere, in attesa di auspicabili chiarimenti ministeriali/giurisprudenziali, che le stazioni appaltanti possano ricorrere all’appalto integrato, assolvendo all’obbligo di motivazionemediante rinvio alla citata disposizione della Legge 55/2019, senza necessità di motivare in maniera specifica e puntuale in merito ai presupposti tecnici ed oggettivi legittimanti l’affidamento congiunto ed all'incidenza sui tempi della realizzazione delle opere in caso di affidamento separato della progettazione rispetto all’esecuzione dei lavori (come invece previsto dal comma 1 ter dell’art. 59 del Codice per le ipotesi derogatorie, tuttora vigenti).

Vale peraltro evidenziare, come effetto indiretto dell’ammissibilità generalizzata dell’appalto integrato, quello costituito dall’accentuazione della responsabilità dell’appaltatore, derivante dell’affidamento al medesimo anche della progettazione esecutiva.

Difatti, per quanto stabilito dall’art. 59, comma 1, primo periodo del Codice, il progetto esecutivo (con il contenuto definito dall'art. 23, comma 8 dello stesso Codice) garantisce la rispondenza dell'opera ai requisiti di qualità predeterminati ed il rispetto dei tempi e dei costi previsti, con una notevole accentuazione e specificazione del generale obbligo di risultato già gravante sull’appaltatore ai sensi e per gli effetti del Codice Civile (art. 1655 ss.); accentuazione che sussiste anche quando le prestazioni progettuali siano svolte dai progettisti raggruppati/indicati dall’appaltatore, che risponde nei confronti della stazione appaltante sia delle prestazioni progettuali che di quelle realizzative dell’opera.

Per completezza espositiva si richiama, altresì, l’attenzione sulla mancata conversione in legge della norma dettata dall’art. 216, comma 4-bis, D. Lgs. 50/2016, nel testo introdotto dal D.L. Sblocca cantieri soprarichiamato, che consentiva in via transitoria la deroga al divieto di appalto integrato, alla duplice condizione che il progetto definitivo fosse approvato entro il 31/12/2020 e che il bando fosse pubblicato entro i successivi 12 mesi.

Fermi restando gli effetti prodotti dalla citata norma non convertita (in buona sostanza sostituita dalla sospensione generalizzata, in via sperimentale e temporanea, del divieto in esame), si ha pertanto la reviviscenza della norma transitoria già contenuta nel comma 4 bis dell’art. 216 (nel testo introdotto dal D. Lgs. 56/2017, cd. Correttivo), che ammetteva la deroga al divieto di appalto integrato per le opere i cui progetti definitivi risultassero approvati dall'organo competente alla data di entrata in vigore del Codice (19/4/2016) con pubblicazione del bando entro 12 (dodici mesi) dal 20/5/2017 (data di entrata in vigore del Correttivo).

3)

Art. 77, comma 3 D. Lgs. 50/2016 s.m.i.: quanto all'obbligo di scegliere i Commissari di gara tra gli esperti iscritti all'Albo istituito presso l'ANAC (di cui all'art. 78 D. Lgs. 50/2016 s.m.i.) in effetti ancora non operativo, fermo restando l'obbligo di individuare i commissari secondo regole di competenza e trasparenza, preventivamente individuate da ciascuna stazione appaltante.

D’altra parte, come noto, in base alla norma transitoria stabilita dall’art. 216, comma 12 del Codice sino all’adozione della (piena) disciplina in materia di iscrizione all'Albo di cui all'art. 78 la commissionegiudicatricecontinua ad essere nominata dall'organo della stazione appaltante competente ad effettuare la scelta del soggetto affidatario del contratto, secondo regole di competenza e trasparenza preventivamente individuate da ciascuna stazione appaltante.

L’art. 1, comma 2 della L. 55/2019 stabilisce che entro il 30 novembre 2020, il Governo debba presentare alle Camere una relazione sugli effetti prodotti dalla sospensione per gli anni 2019 e 2020 degli obblighi/divieto soprarichiamati: i) obbligo dei Comuni non capoluogo di provincia di procedere agli acquisti (di lavori, servizi e forniture) mediante centrali di committenza e/o stazione unica appaltante; ii) divieto di appalto integrato; iii) l’obbligo di nominare i Commissari di gara scegliendoli nell’Albo istituito presso l’ANAC.

La verifica degli effetti è fatta al dichiarato fine di “consentire al Parlamento di valutare l'opportunità del mantenimento o meno della sospensione”.

Tale valutazione evidentemente dovrà essere condotta dal Parlamento alla luce del raggiungimento o meno dello scopo che il legislatore si è prefissato, in maniera velleitaria (ci sia consentito osservare), con la sospensione temporanea dei ripetuti obblighi/divieto, scopo costituito dal rilancio degli investimenti pubblici e dalla facilitazione dell'apertura dei cantieri per la realizzazione delle opere pubbliche.

B) Modifiche temporanee tout court

La legge di conversione del D.L. Sblocca cantieri, stabilisce inoltre (art. 1, commi 3 - 18, L. 55/2019) l’applicazione temporaneasino al 31 dicembre 2020 delle seguenti disposizioni, già introdotte per la maggior parte dal D.L. Sblocca cantieri senza la limitazione temporale ora prevista dalla legge di conversione:

1)

Applicazione anche ai settori ordinari dell’art. 133, comma 8, D. Lgs. 50/2016 s.m.i. che già prevede per i settori speciali l’inversione delle fasi del procedimento, consentendo alla stazione appaltante di valutare le offerte, prima della verifica dei requisiti degli operatori economici partecipanti alla procedura di affidamento.

La citata disposizione stabilisce (grassetto aggiunto) quanto segue: “Nelle procedure aperte, gli enti aggiudicatori possono decidere che le offerte saranno esaminate prima della verifica dell'idoneità degli offerenti. Tale facoltà può essere esercitata se specificamente prevista nel bando di gara o nell'avviso con cui si indice la gara. Se si avvalgono di tale possibilità, le amministrazioni aggiudicatrici garantiscono che la verifica dell'assenza di motivi di esclusione e del rispetto dei criteri di selezione sia effettuata in maniera imparziale e trasparente, in modo che nessun appalto sia aggiudicato a un offerente che avrebbe dovuto essere escluso a norma dell'articolo 136 o che non soddisfa i criteri di selezione stabiliti dall'amministrazione aggiudicatrice”.

La legge 55/2019 (art. 1, co. 3) ha generalizzato in via temporanea sino al 31/12/2020, estendendola a tutti gli appalti dei settori ordinari (sia sottosoglia che di rilievo comunitario), la disposizione che era stata introdotta (e non convertita) con il D.L. Sblocca cantieri per i soli appalti sotto soglia, novellando il comma 5 dell’art. 36 del Codice.

In verità non risulta condivisibile, ad avviso di chi scrive, la novità costituita dalla detta inversione delle fasi del procedimento di gara.

Tale possibilità, per quanto già indicato nella relazione illustrativa al D.L. Sblocca cantieri, sarebbe stata introdotta “nell'ottica della semplificazione e nel rispetto dell'articolo 56 della direttiva 2014/24/UE, in analogia a quanto già avviene nei settori speciali”.

In verità, il richiamo all’art. 56 della Direttiva europea, non appare di per sè sufficiente a giustificare l’applicazione dell’inversione procedimentale in via generalizzata a tutti gli appalti dei settori ordinari, atteso che la citata disposizione della Direttiva europea lascia agli Stati membri la possibilità o meno di recepire tale disposizione.

Né si comprende quale sia la semplificazione ottenibile invertendo le fasi procedimentali, atteso che come noto la prima fase si risolve nella mera lettura del DGUE (ovvero dei modelli predisposti dalla Stazione appaltante), concernenti le declaratorie circa il possesso dei requisiti da parte dei concorrenti; mentre la seconda fase concernente la valutazione delle offerte, cui possono accedere solo i soggetti in possesso dei requisiti richiesti, è notevolmente impegnativa per la stazione appaltante e può richiedere anche più riunioni della commissione giudicatrice.

L’inversione delle fasi, pertanto, lungi dal semplificare il procedimento, ed impregiudicata ogni considerazione sui rischi che ne derivano per l’imparzialità di valutazione, espone piuttosto la stazione appaltante al rischio di scegliere un’offerta, calcolare la soglia di anomalia (ed eventualmente verificarne la congruità), che invece già dalla lettura del DGUE poteva rivelarsi carente dei requisiti richiesti dalla lex specialis di gara, con palese violazione dei noti principi di efficacia ed efficienza amministrativa di rilievo costituzionale.

2)

Art. 1, co. 4 e 5 L. 55/2019, per gli anni 2019 e 2020 consentono alle stazioni appaltanti di: i)avviare le procedure di affidamento della progettazione di opere pubbliche, pur disponendo dei soli finanziamenti per la progettazione e non anche per la realizzazione delle opere; le opere la cui progettazione sia stata realizzata ai sensi del periodo precedente sono considerate in via prioritaria rispetto alle altre ai fini dell'assegnazione dei relativi finanziamenti; ii)avviare le procedure di affidamento della progettazione e dell'esecuzione anche in pendenza dell’erogazione delle risorseassegnate e finalizzate alla realizzazione dell’opera con provvedimento legislativo o amministrativo.

In sostanza con tali disposizioni si consente alle stazioni appaltanti di derogare alla regola stabilita dall’art. 21, comma 3 del Codice, che impone in sede di programmazione dei lavori pubblici di avviare “i soli lavori per i quali deve essere riportata l'indicazione dei mezzi finanziari stanziati sullo stato di previsione o sul proprio bilancio, ovvero disponibili in base a contributi o risorse dello Stato, delle regioni a statuto ordinario o di altri enti pubblici.

In effetti, pur tenendo presenti le motivazioni “acceleratorie” alla base delle disposizioni in commento, sia consentito esprimere perplessità, non solo sull’efficacia di tali disposizioni, ma soprattutto sull’opportunità di derogare, sia pure in via transitoria, ad una disposizione come quella sopraricordata, posta a presidio, in conformità ai noti principi costituzionali, della sana e corretta gestione della finanza pubblica e della correttezza dei rapporti instaurati dall’Amministrazione con i contraenti individuati a seguito delle procedure previste dalla legge.

Vale pure rammentare che la norma in esame appare, altresì, parzialmente contrastante anche con la disposizione dettata dall’art. 24 comma 8 bis del Codice che vieta alle stazioni appaltanti di subordinare la corresponsione dei compensi per la progettazione e le attività tecnico-amministrative ad essa connesse all'ottenimento del finanziamento dell'opera progettata.

Il citato art. 24 comma 8 bis del Codice, sostanzialmente ripetitivo della norma già prevista dal previgente D. Lgs. 163/06 s.m.i., è stato infatti introdotto nel Codice dei contratti pubblici dal Correttivo (D. Lgs. 56/2017) proprio per salvaguardare il diritto dei contraenti dell’amministrazione al corrispettivo per le attività svolte a fronte della prassi (reiteratamente censurata dalla giurisprudenza) invalsa tra le stesse amministrazioni di condizionare i corrispettivi dei progettisti all’ottenimento dei finanziamenti per la realizzazione dell’opera.

3)

Art. 1, co. 6 L. 55/2019, per gli anni 2019 e 2020, stabilisce che i contratti di lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria, ad esclusione degli interventi di manutenzione straordinaria che prevedono il rinnovo o la sostituzione di parti strutturali delle opere o di impianti, possono essere affidati, secondo le procedure del Codice, sulla base del progetto definitivo costituito almeno da: relazione generale, elenco prezzi unitari delle lavorazioni previste, computo metrico-estimativo, piano di sicurezza e coordinamento con l'individuazione analitica dei costi della sicurezza da non assoggettare a ribasso; l’esecuzione dei lavori di manutenzione può prescindere dall’avvenuta redazione, approvazione e, deve ritenersi quindi anche, validazione, del progetto esecutivo.

Con la Legge di conversione del D.L. Sblocca cantieri, quindi si è resa nuovamente temporanea la disposizione che era stata introdotta in via definitiva dal D.L. Sblocca cantieri, con l’inserimento del comma 3 bis nell’art. 23 del Codice relativo alla progettazione.

D’altra parte la disposizione in esame, riproduce in buona sostanza la norma transitoria, prevista dall’art. 216, comma 4, ultimo periodo del Codice, che consente appunto, nelle more dell’adozione della nuova disciplina della progettazione (da adottare mediante il Regolamento di cui al comma 27 octies dell’art. 216 del Codice), di affidare i lavori di manutenzione sulla base di un progetto definitivo “semplificato” e di prescindere dal progetto esecutivo.

Pertanto, in base alla citata norma transitoria, tuttora vigente (salvo assumerne l’abrogazione implicita per incompatibilità con la sopravvenuta norma in esame), quindi, potrebbe ipotizzarsi la legittimità dell’affidamento dei lavori di manutenzione sulla base del progetto definitivo semplificato, anche successivamente alla data del 31/12/2020, sino all’entrata in vigore del Regolamento unico con il quale (ai sensi del citato co. 27 octies, art. 216 del Codice) deve essere disciplinata la progettazione delle opere pubbliche in luogo del Decreto già previsto dall’art. 23 del D. Lgs. 50/2016 s.m.i.

4)

Art. 1, co. 7 e 8 L. 55/2019, stabilisce che sino al 31 dicembre 2020: i)il limite di importo dei progetti definitivi di lavori pubblici di competenza statale, o comunque finanziati per almeno il 50% dallo Stato,per i quali è richiesto il parere obbligatorio del Consiglio superiore dei lavori pubblici (art. 215, comma 3 del Codice), è aumentato da 50 a 75 milioni di euro; al di sotto di tale importo, il parere è espresso dai comitati tecnici amministrativi presso i provveditorati interregionali per le opere pubbliche salvo casi di particolare complessità; ii) il termine per l’espressione del parere da parte del Cons. Sup. LL. PP. è dimezzatoa 45 (quarantacinque) giorni (da 90) dalla trasmissione del progetto; si rammenta che decorso tale termine, il parere si intende reso in senso favorevole.

L’art. 1, co. 9 L. 55/2019, stabilisce, altresì, con disposizione innovativa che il Cons. Sup. LL. PP., in sede di espressione del parere debba pronunciarsi anche sulla “valutazione di congruità del costo” dell’opera. La detta valutazione di congruità può essere richiesta dalle Amministrazioni “in sede di approvazione dei progetti definitivi o di assegnazione delle risorse” anche fuori dei casi in cui sia obbligatorio il parere del Cons. Sup. LL.PP.; in tali casi la valutazione di congruità è resa da Consiglio nel termine di 30 giorni, decorsi i quali le Amministrazioni possono comunque procedere.

Vale, peraltro rilevare che in tal caso, diversamente dal meccanismo previsto per l’espressione del parere, la legge non qualifica in senso positivo lo spirare del termine di 30 giorni, ma si limita a stabilire che l’Amministrazione richiedente la valutazione di congruità possa comunque procedere (approvando il progetto definitivo ovvero assegnando i finanziamenti), ciò che d’altra parte sarebbe comunque possibile, trattandosi di un parere facoltativo, prescindendo dalla valutazione di congruità da parte del Cons. Sup. LL. PP.

Restano fermi tutti gli obblighi previsti dalla legge a carico dell’Amministrazione, preventivamente all’approvazione del progetto, per assicurare la congruità del costo dell’opera, ivi incluso l’aggiornamento dei prezzari, di cui all’art. 23, comma 16, ult. periodo del Codice e la validazione del progetto, previa verifica dello stesso ai sensi dell’art. 26 del Codice.

5)

L’art. 1, co. 10 L. 55/2019 sospende sino al 31 dicembre 2020 la norma stabilita dall’art. 205, comma 2, terzo periodo del Codice, rimuovendo il divieto ivi previsto. Pertanto fino alla predetta datapossono essere oggetto di riserva dell’appaltatore o concessionario gli aspetti progettuali che sono stati oggetto di verifica progettuale ai sensi dell’art. 26 del Codice. A scanso di equivoci, inoltre, la norma in esame precisa che ai detti aspetti (oggetto di riserva) si estende in conseguenza l’ambito di applicazione dell'accordo bonario di cui all'art. 205 del D. Lgs. 50/2016 s.m.i.

Per ragioni di ordine sistematico vale, altresì, evidenziare che con la Legge 55/2019 (art. 1, comma 11) è stato altresì reintrodotto sino all’entrata in vigore del Regolamento unico di cui all’art. 216, co. 27 octies, il Collegio consultivo tecnico, già previsto dall’art. 207 del Codice ed abrogato integralmente dal Correttivo (D. Lgs. 56/2017).

Impregiudicata ogni considerazione sulla reintroduzione con un testo sostanzialmente identico a distanza di neppure due anni di una norma già integralmente abrogata, con buona pace della certezza del diritto, vale qui solo rammentare che tale organo (collegiale?) formato da tre membri, in possesso di competenza e qualificazione adeguata, scelti dalle parti dovrebbe avere in base al testo della disposizione in esame “funzioni di assistenza per la rapida risoluzione delle controversie di ogni natura suscettibili di insorgere nel corso dell'esecuzione del contratto stesso.”

Il Collegio, di cui non è chiara la natura, può ascoltare in maniera informale le parti o convocarle in contraddittorio per consentire l’esposizione delle rispettive ragioni.

Diversamente dalla formulazione originaria dell’art. 207 del Codice, la nuova disposizione prevede che l'eventuale accordo delle parti che accolga la proposta di soluzione indicata dal collegio consultivo non abbia natura transattiva, fatta salva la diversa volontà delle parti stesse.

Il Collegio consultivo può essere istituito al fine di prevenire controversie, prima dell’inizio dell’esecuzione del contratto e comunque entro 90 giorni, solo sull’accordo delle parti, ed è sciolto al termine dell'esecuzione del contratto ovvero in una data anteriore, sempre su accordo delle parti. Si rileva che non è stata riprodotta la preclusione già prevista nel testo originario dell’art. 207, comma 7 del Codice, pertanto, ove la controversia non sia composta con la procedura in esame, i componenti del Collegio possono assumere la qualità di testimoni nel giudizio civile avente ad oggetto la controversia medesima.

Al di là della finalità (prevenire il contenzioso) enunciata dalla norma in esame, ci sia consentito dubitare dell’efficacia di tale ulteriore organo, la cui genericità e “fluidità” di disciplina certamente, a tacer d’altro, non aiutano a distinguerne le funzioni del collegio consultivo dagli altri organi istituzionalmente deputati per conto dell’Amministrazione al controllo effettivo ed all’ordinata gestione dell’esecuzione dei contratti pubblici, primo tra tutti il Responsabile del procedimento, ma anche il Direttore dei lavori (o dell’esecuzione), ed il Collaudatore/Commissione di collaudo.

D’altra parte la previsione di un’audizione “informale” delle parti da parte del Collegio consultivo tecnico mal si concilia “prima facie” con i noti principi di trasparenza e correttezza cui devono attenersi le stazioni appaltanti nell’esecuzione dei contratti pubblici, così come ribadito dall’art. 30 del Codice.

Più in generale vale pure rilevare come la sospensione (sia pure stabilita in via temporanea) del divieto di formulare riserve sugli aspetti che hanno formato oggetto di verifica progettuale, si presta ad ampliare, piuttosto che a prevenire (tantomeno a ridurre), i profili di rischio contenzioso per le stazioni appaltanti, specialmente in considerazione della generalizzata sospensione (sino al 31/12/2020) del divieto di appalto integrato, che consente alle stazioni appaltanti di porre a base di gara il progetto definitivo, in luogo di quello esecutivo, così come previsto nell’impianto originario del Codice dei contratto pubblici (art. 59, comma 1 D. Lgs. 50/2016).

6)

L’art. 1, co. 15 L. 55/2019, riproduce limitandola agli anni 2019 e 2020, la disposizione già introdotta dal D.L. Sblocca cantieri per le varianti delle infrastrutture strategiche (art. 216, comma 3 ter del Codice).

Con tale disposizione viene stabilito che per le infrastrutture strategiche di cui agli artt. 163 ss. del D. Lgs. 163/06 (interventi della cd. Legge obiettivo) previste dal comma 1 bis del medesimo art. 216 del Codice, le varianti al progetto definitivo approvato dal CIPE (sia in sede di redazione del progetto esecutivo sia in fase realizzativa) sono approvate esclusivamente dal soggetto aggiudicatore qualora non superino del 50% il valore del progetto a suo tempo approvato; in caso contrario, le dette varianti sono approvate dal CIPE.

Vale evidenziare che gli interventi previsti dal citato comma 1 bis dell’art. 216, sono quelli già inseriti negli strumenti di programmazione approvati (dal CIPE) e per i quali sia già stata avviata la procedura di valutazione di impatto ambientale (VIA) alla data di entrata in vigore del Codice dei contratti pubblici (cioè alla data del 19/4/2016); per tali interventi lo stesso comma 1 bis prevedeva, in via transitoria, l’ultrattività della disciplina previgente recata dal D. Lgs. 163/06 per l’approvazione dei relativi progetti.

Orbene tale disciplina (art. 169) prevedeva già che le varianti fossero approvate esclusivamente dal soggetto aggiudicatore (sia in fase progettuale che realizzativa), purchè esse non assumessero rilievo sotto il profilo localizzativo, né comportassero altre sostanziali modificazioni e richiedessero nuovi finanziamenti.

Orbene la disposizione introdotta con lo Sblocca cantieri (e riprodotta dalla Legge di conversione per gli anni 2019 e 2020), appare essere incompatibile almeno parzialmente con la richiamata disciplina dell’art. 169 D. Lgs. 163/06, atteso che vincola l’approvazione da parte del soggetto aggiudicatore in luogo del CIPE, al solo parametro numerico/quantitativo del 50% del valore, apparentemente superando quelli in precedenza previsti. Se tale interpretazione fosse confermata, si avrebbe un’abrogazione implicita del citato art. 169 D. Lgs. 163/06.

7)

L’art. 1, co. 18 L. 55/2019, riproduce, nelle more della complessiva revisione del Codice, fino al 31 dicembre 2020, le modifiche già introdotte dal D.L. Sblocca cantieri alla disciplina del subappalto.

In parziale recepimento dei rilievi contenuti nella procedura di infrazione n. 2018/2273 (punto 1.3), determinati dal contrasto con le norme sul subappalto delle direttive europee in materia di appalti e concessioni, nonché dal rilievo per cui i limiti della normativa italiana al subappalto sarebbero altresì violativi del principio europeo di proporzionalità (di cui all’art. 18, par. 1, Dir. 2014/24/UE), sono state apportate le seguenti modifiche alla disciplina del subappalto, stabilendo sino al 31/12/2020 la deroga parziale al comma 2 dell’art. 105 del Codice e la sospensione delle seguenti ulteriori disposizioni del Codice: art. 105, comma 6; art. 174 comma 2, terzo periodo; art. 80, co. 1 quanto al periodo “anche riferita a un suo subappaltatore nei casi di cui all'articolo 105, comma 6” e co. 5 stesso periodo.

Pertanto, fino alla predetta data: i) la quota subappaltabile è stata elevata al limite massimo del 40% dell'importo complessivo del contratto di lavori, servizi o forniture, con determinazione rimessa in concreto alla stazione appaltante negli atti di gara; resta fermo per i contratti di lavori anche il limite del 30% previsto dall’art. 105, comma 5 del Codice per le categorie superspecialistiche (art. 89, co. 11, cd. SIOS); ii) è sospeso l’obbligo per gli operatori economici di indicare in sede di gara la terna dei subappaltatori; iii) sono sospese le verifiche in sede di gara dei motivi di esclusione riferite ai subappaltatori, con l’importante conseguenza che gli eventuali motivi di esclusione del subappaltatore, non comportano l’esclusione del concorrente in fase di gara, ma rilevano solo in sede di esecuzione del contratto ai fini del rilascio dell’autorizzazione al subappalto ovvero della sostituzione del subappaltatore (ai sensi dell’art. 105, commi 4 e 12 del Codice).

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C) Modifiche definitive

1) Regolamento unico

Si rileva al riguardo che con il D.L. 32/2019 è stato compiuto un radicale revirement rispetto alla scelta compiuta con il D. Lgs. 50/2016 s.m.i., che demandava l’attuazione del Codice – come noto – oltre che a (numerosi) decreti ministeriali, anche alle Linee Guida dell’ANAC (cd. soft law), prevedendo circa 50 provvedimenti attuativi, solo parzialmente adottati.

Con lo Sblocca Cantieri, come richiesto a più riprese dagli operatori in considerazione del disorientamento causato dalla frammentarietà ed incompletezza delle norme attuative del D. Lgs. 50/2016 s.m.i., si prevede invece l’adozione (come già avvenuto in passato per la Legge Merloni e per il D. Lgs. 163/06 s.m.i.) – di un Regolamento unico, da adottarsi entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore (il 19 aprile 2019) del comma 27 octies, art. 216del Codice (introdotto dall’art. 1, co. 1, lett. mm, n. 7 D.L. 32/2019, conv. con modif.dall'art. 1, co. 20, lett. gg), L. n. 55/2019). Il Regolamento dovrebbe quindi essere adottato entro il 16 ottobre 2019.

Il Regolamento unicodi esecuzione, attuazione ed integrazione (di seguito anche solo “Regolamento”), viene adottato dal Governo ai sensi dell’art. 17, co. 1, lett. a) e b), L. n. 400/1988 (cioè con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il parere del Consiglio di Stato, che deve pronunciarsi entro 90 giorni dalla richiesta), su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e sentita la Conferenza Stato-Regioni.

Nelle more dell’adozione del Regolamento e sino alla sua entrata in vigore continuano ad applicarsi i decreti e le Linee Guida sin qui adottati in attuazione delle previgenti disposizioni di cui ai seguenti articoli del Codice: art. 24, co. 2 (D.M. 2 dicembre 2016, n. 263, relativo ai requisiti delle società di ingegneria); art. 31, co. 5 (Linee Guida n. 3, relative alla nomina, ruolo e compiti del RUP); art. 36, co. 7 (Linee Guida n. 4, procedure sottosoglia, indagini di mercato, formazione e gestione albi degli operatori economici; art. 89, co. 11 (D.M. 10 novembre 2016, n. 248, relativo alle opere superspecialistiche, cd. SIOS); art. 111, co. 1 e 2 (D.M. 7 marzo 2018, n. 49, Regolamento sulle modalità di svolgimento delle funzioni di D.L. e del Direttore dell'esecuzione); artt. 146, co. 4, 147, co. 1 e 2 e 150, co. 2 (D.M. 22 agosto 2017, n. 154, relativo ai lavori concernenti i beni culturali).

Secondo le modifiche introdotte dalla Legge di conversione al comma 27 octies dell’art. 216, i detti provvedimenti si applicano in quanto compatibili con il Codice e non oggetto delle procedure di infrazione nn. 2017/2090 e 2018/2273. Ai soli fini dell'archiviazione delle citate procedure di infrazione, inoltre, nelle more dell'entrata in vigore del regolamento, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e l'ANAC sono autorizzati a modificare rispettivamente i decreti e le linee guida adottati in materia.

Si osserva al riguardo che l’applicazione dei citati provvedimenti nei limiti della compatibilità con il Codice ed in quanto non oggetto delle procedure di infrazione, appare prima facie una condizione superflua e ridondante, atteso il contenuto dei medesimi ed in considerazione delle modifiche già apportate al Codice proprio in considerazione delle dette procedure di infrazione con il D.L. Sblocca cantieri e con la Legge 55/2019 di conversione del medesimo, nonché con la Legge europea 2018 quanto alla disciplina dei pagamenti, con l’integrale sostituzione dell’art. 113 bis del Codice, come di seguito illustrato.

In sede di conversione è stato, inoltre, inserito nel comma 27 octies dell’art. 216 del Codice l’elenco delle materie da disciplinare con il Regolamento, di seguito riportato:

a) nomina, ruolo e compiti del responsabile del procedimento;

b) progettazione di lavori, servizi e forniture, e verifica del progetto;

c) sistema di qualificazione e requisiti degli esecutori di lavori e dei contraenti generali;

d) procedure di affidamento e realizzazione dei contratti di lavori, servizi e forniture di importo inferiore alle soglie comunitarie;

e) direzione dei lavori e dell’esecuzione;

f) esecuzione dei contratti di lavori, servizi e forniture, contabilità, sospensioni e penali;

g) collaudo e verifica di conformità;

h) affidamento dei servizi attinenti all’architettura e all’ingegneria e relativi requisiti degli operatori economici;

i) lavori riguardanti i beni culturali.

A decorrere dalla data di entrata in vigore del Regolamento cessano di avere efficacia, oltre ai provvedimenti (Decreti e Linee Guida ANAC vincolanti) già adottati e soprarichiamati, anche le ulteriori Linee Guida adottate dall’ANAC ai sensi dell’art. 213, comma 2 del Codice, relative alle materie sopraindicate (ad es. Linee Guida n. 1 relative all’affidamento dei servizi di ingegneria), nonché quelle che comunque siano in contrasto con le disposizioni recate dal regolamento.

Si rammenta al riguardo che le Linee Guida previste dal citato art. 213, comma 2 del Codice sono quelle adottate dall’ANAC per promuovere efficienza e qualità dell’attività delle stazioni appaltanti, agevolando l’omogeneità dei procedimenti e lo sviluppo delle migliori pratiche; come più volte chiarito dal Consiglio di Stato, tali Linee Guida hanno carattere non vincolante per le stazioni appaltanti, potendo le stesse discostarsene motivatamente, ove la fattispecie concreta lo richieda.

La legge di conversione ha, quindi, ulteriormente precisato il revirement rispetto all’impostazione originaria del D. Lgs. 50/2016, marcando l’abbandono del sistema cd. di soft law, con il ritorno come in passato (cfr. DPR 207/2010) ad unico Regolamento per disciplinare, auspicabilmente in maniera uniforme, aspetti essenziali dell’affidamento e dell’esecuzione dei contratti pubblici, e specificamente del ciclo realizzativo delle opere e dei lavori pubblici (progettazione, affidamento ed esecuzione delle opere, inclusa la Direzione e contabilità dei lavori, collaudazione, qualificazione degli operatori economici).

Incidentalmente si osserva che con il Regolamento sarà disciplinata oltre alla progettazione, anche la verifica progettuale di cui all’art. 26 del Codice, la cui regolamentazione di dettaglio (già prevista dagli artt. 44-57 D.P.R. 207/2010) è stata integralmente abrogata dall’art. 217 del D. Lgs. 50/2016, con l’entrata in vigore del medesimo il 19/4/2016, con conseguenti gravi lacune nella relativa regolamentazione, solo parzialmente colmate con le Linee Guida n. 1 dell’ANAC.

Parimenti con il Regolamento sarà disciplinata la qualificazione delle imprese (art. 83, co. 2 e 84, co.2) esecutrici delle opere e lavori pubblici, inclusa la qualificazione dei general contractor (artt. 197 e 199).

In ogni caso, per effetto della modifica dell’art. 84 co. 4, lett. b) del Codice (introdotta dal D.L. 32/2019, confermata in sede di conversione dalla L. 55/2019), viene estesoda 10 a 15 anni il periodo che le imprese possono prendere a riferimento per documentare il possesso dei requisiti tecnico economici, ai fini della qualificazione; al riguardo si segnala, tuttavia, il rischio - amplificato dall’estensione del periodo di riferimento - per l’Amministrazione di trovarsi di fronte operatori economici, pur a suo tempo qualificati, oggi non più effettivamente in possesso delle risorse tecnico economiche corrispondenti al livello di qualificazione formalmente risultante dall’attestazione SOA.

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Di seguito le ulteriori modifiche ritenute di maggior interesse, rinviando per il dettaglio al D.L. 32/2019, nel testo modificato dalla Legge di conversione n. 55/2019.

2) Anticipazione del prezzo dell’appalto - Disciplina pagamenti e penali (L. europea 2018)

Mediante la sostituzione (con il D.L. 32/2019, confermato dall’art. 1, co. 20, lett. g L.55/2019) nel testo dell’art. 35, co. 18 del Codice delle parole “dei lavori con le parole “della prestazione”, è stata estesa l'anticipazione del 20% del prezzo del contratto anche agli appalti di forniture e di servizi, oltre che a quelli di lavori pubblici.

Per completezza espositiva si rammenta, altresì, che l’art 113 bis del Codice relativo alla disciplina dei pagamenti e delle penali, è stato integralmente sostituito dall’art. 5 della Legge europea 2018 (L. 3/5/2019, n. 37 “Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea - Legge europea 2018”, in G.U. n. 109 dell’11 maggio 2019).

La modifica dell’art. 113 bis risponde, come si legge nel Dossier – Servizio studi – A.S. n. 822-B, “all’impegno assunto dal Governo italiano di porre rimedio all’apertura della procedura di infrazione 2017/2090 in materia di pagamenti negli appalti pubblici. La procedura è allo stato del parere motivato e inerisce, più in particolare, alla disciplina dei termini di pagamento delle stazioni appaltanti pubbliche in favore degli appaltatori”.

Il nuovo testo dell’art. 113-bis, mutato anche nella rubrica oggi denominata “Termini di pagamento. Clausole penali”, stabilisce che gli acconti sono corrisposti all’appaltatore entro 30 giorni da ogni SAL, a meno che sia espressamente concordato un termine diverso (mai superiore a 60 giorni) quando tale termine più lungo sia giustificato dalla natura particolare del contratto o da talune sua caratteristiche. Il certificato di pagamento deve essere emesso contestualmente al SAL e comunque non oltre 7 giorni dalla sua adozione.

Parimenti, in sede di collaudo (o verifica di conformità) ai sensi del comma 2 art. 113 bis, il RUP entro un termine non superiore a 7 giorni è tenuto a rilasciare il certificato di pagamento ai fini dell’emissione della fattura da parte dell’appaltatore. Il pagamento deve essere effettuato nel termine di 30 giorni decorrenti dall’esito positivo del collaudo (o verifica di conformità), salvo che sia espressamente concordato nel contratto un diverso termine, comunque non superiore a 60 giorni e purché ciò sia oggettivamente giustificato dalla natura particolare del contratto o da talune sue caratteristiche.

Come nel testo previgente, viene stabilito che il certificato di pagamentonon costituisce presunzione di accettazione dell’opera, ai sensi dell’art. 1666, comma 2, Codice Civile e si ribadisce la validità dell’art. 4, comma 6, D. Lgs. 231/2002 s.m.i. per cui, in presenza di procedure volte ad accertare la conformità della merce o dei servizi al contratto, la stessa non può avere una durata superiore a 30 giorni dalla data della consegna della merce o della prestazione del servizio, salvo che sia diversamente ed espressamente concordato dalle parti, previsto nella documentazione di gara e sempre che non si tratti di una condizione gravemente iniqua per il creditore ai sensi dell'art. 7 D. Lgs. 231/2002 s.m.i.; l'accordo deve essere comunque provato per iscritto.

Infine, il comma 4 art. 113 bis, disciplina le penali a carico dell’impresa affidataria ribadendo il precedente regime dell’art. 113 bis, comma 2. Dunque, rimangono fermi i due requisiti: il primo, relativo alle modalità di calcolo, che devono essere commisurate ai giorni di ritardo rispetto all’ultimazione e devono essere comprese tra lo 0,3‰ e l’1‰ dell’ammontare netto del contratto, avuto riguardo dell’entità delle conseguenze del ritardo; l’altro, di carattere proporzionale, per cui l’ammontare non può comunque superare il 10% dell’ammontare totale netto.

3) Progettazione – Verifica progettuale

3.1) Progettazione – Progettisti: requisiti - incompatibilità

Come sopra indicato al precedente paragrafo C.1), la disciplina della progettazione e della verifica progettuale é demandata al Regolamento attuativo del Codice, non più, per quanto concerne la progettazione, al decreto ministeriale in origine previsto dall’art. 23, comma 3 del Codice (peraltro non adottato, anche in ragione dei rilievi del Consiglio di Stato).

In via transitoria, per quanto riguarda la progettazione, continuano ad applicarsi gli artt. 14-43 delD.P.R. 207/2010 nelle more dell’entrata in vigore del citato Regolamento (combinato disposto art. 216, co. 4 e co. 27 octies del Codice).

Viceversa le norme del D.P.R. 207/2010 (artt. 44-57) che disciplinavano compiutamente la verifica progettuale sono state invece integralmente abrogate sin dal 19/4/2016 con l’entrata in vigore del D. Lgs. 50/2016 (art. 217), senza che ne sia stata prevista l’applicazione in via transitoria, con conseguenti gravi lacune nella relativa regolamentazione, solo parzialmente colmate con le Linee Guida n. 1 dell’ANAC.

Pertanto nelle more dell’entrata in vigore del citato Regolamento, l’unico riferimento normativo circa il contenuto della verifica progettuale è attualmente costituito dall’art. 26, co. 4 del Codice, in base al quale “La verifica accerta in particolare:

a) la completezza della progettazione; b) la coerenza e completezza del quadro economico in tutti i suoi aspetti; c) l’appaltabilità della soluzione progettuale prescelta; d) presupposti per la durabilità dell'opera nel tempo; e) la minimizzazione dei rischi di introduzione di varianti e di contenzioso; f) la possibilità di ultimazione dell'opera entro i termini previsti; g) la sicurezza delle maestranze e degli utilizzatori; h) l’adeguatezza dei prezzi unitari utilizzati; i) la manutenibilità delle opere.”

Tanto richiamato in via preliminare, si osserva che con il D.L. Sblocca cantieri sono state introdotte le seguenti modifiche, confermate dalla Legge di conversione con una sola precisazione.

Innanzitutto, si rileva che sono stati aggiornati i contenuti del progetto di fattibilità tecnica ed economica (che ha sostituito il preliminare) con l’integrale riformulazione dell’art. 23, co. 5 e l’integrazione del comma 6, al cui contenuto si rinvia integralmente.

Si rileva qui solo che il nuovo testo del comma 5, diversamente dal precedente, prevede per i lavori pubblici di importo pari o superiore alla soglia comunitaria (€ 5.548.000) non più la facoltà, ma l’obbligoper le stazioni appaltanti di predisporre, prima del progetto di fattibilità (con le relative, indagini, studi, verifiche etc.), il solo documento di fattibilità delle alternative progettuali ai fini della programmazione (art. 21, co. 3 Codice), nonché per l'espletamento delle procedure di dibattito pubblico (art. 22 Codice) e per i concorsi di progettazione e di idee (art. 152 Codice).

Il detto documento di fattibilità delle alternative progettuali, secondo la definizione dell'art. 3, comma 1, lett. ggggg-quater del Codice è “il documento in cui sono individuate ed analizzate le possibili soluzioni progettuali alternative ed in cui si dà conto della valutazione di ciascuna alternativa, sotto il profilo qualitativo, anche in termini ambientali, nonché sotto il profilo tecnico ed economico.”

Resta ferma la facoltà della stazione appaltante di richiedere la redazione del documento di fattibilità delle alternative progettuali anche per i lavori pubblici sottosoglia.

La legge di conversione (art. 1, co. 20, lett. a), L. 55/2019) ha poi integrato il comma 6 dell’art. 23 del Codice, precisando che tra le indagini e verifiche necessarie ai fini della redazione del progetto di fattibilità (indagini geologiche, idrogeologiche, idrologiche, idrauliche, geotecniche, sismiche, storiche, paesaggistiche ed urbanistiche) sono comprese anche le verifiche relative alla possibilità del riuso del patrimonio immobiliare esistente e della rigenerazione delle aree dismesse, nonché di studi di fattibilità ambientale e paesaggistica e la necessità di indicare nei relativi elaborati cartografici anche la descrizione delle misure di compensazioni e di mitigazione dell'impatto ambientale.

Inoltre, per effetto dell’introduzione dell’art. 23 comma 11 bis del Codice, tra le spese tecniche da prevedere nel quadro economico di ciascun intervento sono ora comprese espressamente le spese di carattere strumentale sostenute dalle amministrazioni aggiudicatrici in relazione all’intervento.

Come sopra indicato al precedente paragrafo C.1), con il Regolamento unico di attuazione saranno definiti i requisitidei soggetti di cui all'art. 46, co. 1 del Codice, affidatari dei servizi attinenti all’architettura ed all’ingegneria (professionisti singoli o associati, società di professionisti, società di ingegneria, G.E.I.E., raggruppamenti/consorzi tra i detti soggetti); ferma restando in via transitoria (ai sensi dell'art. 216, co. 27-octies del Codice) l’applicazione del D.M. 2 dicembre 2016, n. 263, relativo ai requisiti delle società di ingegneria e delle Linee Guida 1 dell’ANAC, sui requisiti di capacità tecnico organizzativa ed economico finanziaria per l’affidamento dei detti servizi.

Con le modifiche apportate all’art. 24 comma 7 del Codice è stata eliminata l’impossibilità per i progettisti di essere anche affidatari delle concessioni di lavori pubblici quando siano stati gli autori della progettazione a base di gara per l’affidamento della concessione.

La detta incompatibilità tra progettazione e realizzazione resta ferma invece relativamente agli appalti; pertanto – ai sensi dell’art. 24, comma 7 del Codice – tuttora i soggetti che abbiano predisposto la progettazione posta a base di gara, non possono essere affidatari (neppure tramite soggetti controllati, controllanti o collegati) degli appalti di lavori, degli eventuali subappalti o cottimi.

3.2) Verifica progettuale

E’ stata prevista la possibilità per le stazioni appaltanti che abbiano un sistema interno di controllo qualità di effettuare la verifica progettuale dei lavori di importo inferiore a 20.000.000 di euro e fino alla soglia comunitaria (€ 5.548.000), per effetto della modifica apportata all’art. 26, comma 6, lett. b) del Codice dalla L.55/2019 (art. 1, co. 20, lettera c).

Impregiudicata ogni considerazione sull’inefficacia del sistema qualità ad assicurare l’indipendenza di giudizio e le capacità occorrenti ad effettuare la verifica di opere rilevanti (da 5.548.000 euro ad importi inferiori a 20.000.000 di euro), si osserva che tale modifica consentendo alle stazioni appaltanti di verificare internamente la progettazione, alla sola condizione che dispongano di un sistema qualità, in sostanza è suscettibile di sottrarre all’esternalizzazione i relativi appalti di servizi.

Si osserva che la modifica in commento incide anche sulla disciplina prevista dalle Linee Guida 1 dell’ANAC, nella parte in cui elenca i soggetti legittimati all’espletamento della verifica progettuale, attesa l’applicazione delle dette Linee Guida in via transitoria nei limiti della compatibilità con il Codice, così come novellato dallo Sblocca cantieri e dalla relativa Legge di conversione (art. 216, comma 27 octies, nel testo modificato dalla L. 55/2019).

4) Appalto integrato

Fermo restando quanto sopra indicato (Par. A, n. 2) in merito alla sospensione generalizzata e temporanea (sino al 31/12/2020) del divieto di appalto integrato, si osserva, altresì, che con il D.L. Sblocca cantieri, confermato sul punto dalla Legge di conversione (L. 55/2019), è stata reinserita nel Codice (art. 59, co. 1 bis, 2° periodo) la possibilità (già contemplata dal D. Lgs. 163/06) per le imprese di partecipare alla gare per l’affidamento di appalto integrato utilizzando la qualificazione SOA per progettazione ed esecuzione ovvero, in alternativa, indicando o associando progettisti all’uopo qualificati.

E’ stato inoltre (re)introdotto (art. 59, co. 1 quater), il pagamento diretto al progettista del corrispettivo per l’attività di progettazione al netto del ribasso e purché tale modalità di pagamento sia indicata nei documenti di gara; il pagamento del corrispettivo è comunque subordinato (e diviene quindi esigibile): alla previa approvazione del progetto, oltre che alla presentazione dei relativi documenti fiscali da parte del progettista.

5) Affidamenti sottosoglia

5.1)

La disciplina degli affidamenti sottosoglia è stata modificata sia dal D.L. Sblocca cantieri che dalla successiva Legge di conversione (art. 1, co. 20, lett. h, nn.1-5).

In via del tutto preliminare, occorre rammentare che (per espressa statuizione dell’art. 36, co. 1 del Codice), l'affidamento e l'esecuzione degli appalti di lavori, servizi e forniture di importo inferiore alle soglie comunitarie deve avvenire nel rispetto dei seguenti principi stabiliti dal Codice:

  • economicità, efficacia, tempestività, correttezza, libera concorrenza, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità e pubblicità (art. 30 comma 1), vincolanti per la Stazione Appaltante anche in caso di malfunzionamento delle piattaforme telematiche utilizzate per gli affidamenti (art. 79, comma 5 bis)

  • criteri sostenibilità energetica/ambientale (art. 34)

  • prevenzione e risoluzione dei conflitti di interesse (art. 42)

  • rotazione degli inviti e degli affidamenti (art. 36, comma1)

  • effettiva possibilità di partecipazione delle microimprese, piccole e medie imprese (PMI), cui è finalizzato anche l’obbligo di suddivisione in Lotti (funzionali/prestazionali), fermo il divieto di suddivisione/aggregazione artificiosa e con finalità elusive (art. 51)

    Possono inoltre applicarsi per gli appalti di lavori ed i servizi diversi da quelli aventi natura intellettuale, con particolare riguardo a quelli relativi ai contratti ad alta intensità di manodopera (nei quali il costo della manodopera è pari almeno al 50% dell’importo totale del contratto), nel rispetto dei principi dell'Unione europea, specifiche clausole sociali volte a promuovere la stabilità occupazionale del personale impiegato, con l’obbligo dell’applicazione da parte dell’aggiudicatario, dei contratti collettivi di settore di cui all’art. 51 D. Lgs. 81/2015.

Tanto preliminarmente rammentato, si osserva che le con il D.L. Sblocca cantieri e con la Legge di conversione, sono state innanzitutto ridefinite le fasce di importo e le procedure per l’affidamento degli appalti di importo inferiore alla soglia europea (attualmente pari per i lavori ad € 5.548.000; per i servizi e forniture delle amministrazioni centrali € 144.000, e, rispettivamente € 221.000 per le altre amministrazioni; € 443.000 per i servizi e forniture dei settori speciali).

 

Pertanto ai sensi dell’art. 36, co. 2, lett. a, b, c, c bis, d) del Codice (come da ultimo modificato dalla L. 55/2019 di conversione del D.L. 32/2019) l’affidamento di contratti sottosoglia può avvenire con le seguenti modalità distinte per fasce di importo:

a) importo inferiore a 40.000 euro: affidamento diretto anche senza previa consultazione di due o più operatori economici (ovvero, per i lavori, in amministrazione diretta);

b) importo pari o superiore a 40.000 euro ed inferiore a 150.000 euro per i lavori, o alle soglie di cui all’art. 35 del Codice per le forniture ed i servizi (€ 144.000 per le amministrazioni centrali, e, rispettivamente € 221.000 per le altre amministrazioni; € 443.000 per servizi e forniture dei settori speciali): affidamento diretto previa valutazione di tre preventivi, ove esistenti, per i lavori, ovvero per i servizi e le forniture, previa valutazione di almeno cinque preventivi di cinque operatori economici individuati sulla base di indagini di mercato o tramite elenchi di operatori economici, nel rispetto del criterio di rotazione degli inviti. I lavori possono essere eseguiti anche in amministrazione diretta, fatto salvo l’acquisto e il noleggio di mezzi, per i quali si applica comunque la procedura di cui al periodo precedente.

L’avviso sui risultati della procedura di affidamento contiene l’indicazione anche dei soggetti invitati.

Per entrambe le dette tipologie di contratti, la stazione appaltante può procedere ad affidamento diretto tramite determina a contrarre, o atto equivalente, che contenga, in modo semplificato: l’oggetto dell’affidamento, l’importo, il fornitore, le ragioni della scelta del fornitore, il possesso da parte sua dei requisiti di carattere generale, nonché il possesso dei requisiti tecnico-professionali, ove richiesti (art. 32, comma 2 del Codice come modificato dalla L. 55/2019, art. 1, co. 20, lett. f).

Riguardo all’ipotesi di affidamento diretto introdotta per tale tipologia di contratti, è appena il caso di evidenziare come, al di là del nomen iuris (in verità impropriamente) utilizzato dal legislatore si tratti in effetti anche in tal caso di una procedura negoziata, di cui anzi, ad avviso di chi scrive, in cui è stato ulteriormente accentuato l’onere motivazionale per le stazioni appaltanti.

Difatti, diversamente dal testo previgente, in cui prima di procedere all’affidamento, la stazione appaltante doveva “consultare” gli operatori economici nel numero minimo indicato dalla legge, ora il testo novellato dell’art. 36, comma 2, lett. b) specifica il detto obbligo di consultazione nella valutazione di tre preventivi per i lavori e, deve ritenersi al di là della non perfetta coordinazione del tenore letterale, di almeno cinque preventivi per le forniture ed i servizi.

Pertanto, sia pure nella forma semplificata prevista dal citato art. 32, comma 2 del Codice, le stazioni appaltanti dovranno dare conto, non solo dei soggetti invitati alla procedura, scelti sulla base di indagini di mercato o tramite elenchi di operatori economici nel rispetto del criterio di rotazione degli inviti, ma anche delle ragioni che hanno determinato la scelta dell’affidatario ed il criterio in base al quale hanno operato la valutazione dei preventivi.

c) importo pari o superiore a 150.000 euro ed inferiore a 350.000 euro: procedura negoziata di cui all’art. 63 del Codice previa consultazione, ove esistenti, di almeno 10 (dieci) operatori economici, nel rispetto del criterio di rotazione degli inviti, individuati sulla base di indagini di mercato o tramite elenchi di operatori economici. Anche in tal caso, l’avviso sui risultati della procedura di affidamento contiene l’indicazione anche dei soggetti invitati.

c-bis) importo pari o superiore a 350.000 euro ed inferiore a 1.000.000 di euro: stessa procedura di cui alla precedente lett. c), fatto salvo il maggior numero di soggetti da consultare che è di almeno 15 (quindici) operatori economici, ove esistenti.

d) importo pari o superiore a 1.000.000 di euro e fino alla soglia di cui all’art. 35 (€ 5.548.000): procedura aperta ai sensi dell’art. 60 del Codice, fermo restando quanto previsto dall’art. 97, comma 8 del Codice relativamente all’esclusione automatica delle offerte anomale.

5.2)

Il citato art. 97, comma 8 del Codice (nel testo da ultimo modificato dalla L. 55/2019, dall'art. 1, comma 20, lett. u), prevede infatti che nelle procedure sottosoglia e che non presentino carattere transfrontaliero, per l’affidamento di lavori, servizi e forniture da aggiudicare con il criterio del prezzo più basso, la stazione appaltante è tenuta a prevedere nel bando l'esclusione automatica delle offerte anomale, costituite dalle offerte che presentano una percentuale di ribasso pari o superiore alla soglia di anomalia individuata ai sensi dei commi 2, 2-bis e 2-ter dell’art. 97 (anch’essi novellati dalla L. 55/2019). In tal caso non si applicano i commi 4, 5 e 6 dell’art. 97 relativi alla verifica in contraddittorio, sulla base dei giustificativi, dell’offerta anomala.

In ogni caso l’esclusione automatica non opera quando il numero delle offerte ammesse è inferiore a 10 (dieci).

Rispetto alla previgente disciplina, quindi, la stazione appaltante non ha più la facoltà ma l’obbligo di prevedere nel bando l’esclusione automatica, fatto salvo il caso in cui l’affidamento pur essendo di importo inferiore alle soglie comunitarie, abbia tuttavia carattere transfrontaliero, attesa la modifica apportata alla norma per effetto della procedura di infrazione n. 2018/2273. In tale ultimo caso la stazione appaltante potrà quindi procedere all’esclusione del concorrente la cui offerta sia risultata anomala solo in esito alla verifica dei giustificativi ai sensi dei commi 4, 5 e 6 dell’art. 97 del Codice.

5.3)

E’ stato abrogato con la legge di conversione, il comma 5 dell’art. 36 che prevedeva in origine per gli appalti sottosoglia la verifica dei requisiti in capo al solo aggiudicatario.

Inoltre non è stata convertita la disposizione, introdotta dal D.L. Sblocca cantieri al comma 5 dell’art. 36, che consentiva per i soli affidamenti sotto soglia, l’inversione procedimentale già prevista per i settori speciali dall’art. 133, comma 8 del Codice.

Fermi restando gli effetti prodotti dalla citata disposizione, la Legge 55/2019, di conversione del D.L., ha generalizzato come soprarichiamato la detta inversione procedimentale sia per gli appalti sotto soglia, che per quelli di rilevanza comunitaria, prevedendo l’applicazione temporanea (sino al 31/12/2020) dell’art. 133, co. 8 del Codice, che già consentiva per i settori speciali tale inversione procedimentale.

Inoltre, l’intervenuta abrogazione del comma 5, art. 36 del Codice fa sì che per tutti gli appalti (sotto soglia e di rilevanza comunitaria) la verifica sul possesso dei requisiti richiesti ai fini della stipula del contratto, venga effettuata in capo quindi al solo aggiudicatario (ai sensi dell’art. 85, co. 5 del Codice, (così come modificato dal Correttivo, D. Lgs. 56/2017).

Per quanto riguarda specificamente i mercati elettronici di cui al comma 6 dell’art. 36 del Codice (incluso il MEPA), le novità introdotte con lo Sblocca cantieri e con la Legge di conversione (comma 6 bis, art. 36, sostituito dall'art. 1, comma 17, L. 55/2019) prevedono, innanzitutto, che la verifica dell’assenza dei motivi di esclusione di cui all’art. 80 del Codice, ai fini dell’ammissione e della permanenza nei detti mercati sia effettuata dal soggetto responsabile su un campione significativo di operatori economici, non più limitatamente agli affidamenti di importo inferiore a 40.000 come nel previgente regime, ma per tutti gli affidamenti sottosoglia. Ciò sino all’adozione del Decreto per l’attuazione della Banca dati nazionale degli operatori economici di cui all’articolo 81, comma 2 del Codice anche mediante interoperabilità fra sistemi (in via transitoria le stazioni appaltanti e gli operatori economici utilizzano la banca dati AVCPass istituita presso l'ANAC).

Inoltre, in base al comma 6 ter, art. 36 del Codice (introdotto dall'art. 1, comma 17, L. 55/2019), è previsto l’obbligo per le stazioni appaltanti che effettuino le procedure di affidamento nell’ambito dei citati mercati elettronici di verificare sempre in capo all’aggiudicatario il possesso dei requisiti economico finanziari e tecnico professionali, nonché di procedere alla verifica del possesso dei requisiti generali soltanto quando l’aggiudicatario non rientri tra gli operatori economici verificati a campione ai sensi del comma 6-bis dell’art. 36 soprarichiamato.

5.4)

Si osserva infine che l’art. 36, co. 9 bis del Codice (nel testo novellato dalla L.55/2019, parzialmente modificativa del D.L. Sblocca cantieri), stabilisce che le stazioni appaltanti procedano all’aggiudicazione dei contratti di lavori, servizi e forniture sottosoglia sulla base del criterio del minor prezzo ovvero in base al criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa (“OEPV”), fermi restando i casi in cui quest’ultimo criterio è obbligatorio ai sensi dell’art. 95, comma 3 del Codice.

Resta fermo quanto previsto dall’art. 95, co. 3 del Codice (come novellato dal D.L. 32/2019, confermato dall'art. 1, co. 20, lett. t), L. 55/2019): pertanto il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa individuata sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo resta il criterio di aggiudicazione esclusivo per i seguenti contratti di servizi e forniture di importo pari o superiore a 40.000 euro:

a) contratti relativi ai servizi sociali e di ristorazione ospedaliera, assistenziale e scolastica, nonché ai servizi ad alta intensità di manodopera (come definiti all'art. 50, co. 1 del Codice);

b) contratti relativi all'affidamento dei servizi di ingegneria e architettura e degli altri servizi di natura tecnica e intellettuale;

b-bis) contratti di servizi e forniture caratterizzati da notevole contenuto tecnologico o che hanno un carattere innovativo.

In sede di conversione del D.L. è stata cioè eliminata (dall'art. 1, co.17, L. 55/2019) la preferenza per il criterio del minor prezzo e l’obbligo di motivazione adeguata nella determina a contrarre nel caso di ricorso al criterio dell’OEPV, previamente introdotte con lo sblocca cantieri.

Sembra pertanto che i due criteri per i contratti sottosoglia siano stato resi alternativi, fermi restando i casi sopramenzionati in cui è obbligatorio il ricorso all’OEPV.

Ciò anche in considerazione delle modifiche apportate dalla L. 55/2019 all’art. 95, comma 4 che nel testo previgente ammetteva l’utilizzazione del criterio del minor prezzo, previa adeguata motivazione (ai sensi del comma 5 art. 95 del Codice), anche per i) i lavori di importo pari o inferiore a 2.000.000 di euro, ovvero per ii) servizi e forniture di importo inferiore a 40.000 euro, nonché di importo pari o superiore a 40.000 euro e sino alla soglia comunitaria solo se caratterizzati da elevata ripetitività, fatta eccezione per quelli di notevole contenuto tecnologico o che hanno un carattere innovativo.

L’obbligo di adeguata motivazione appare oggi limitato al caso in cui la stazione appaltante intenda affidare con il criterio del minor prezzo i servizi e le forniture con caratteristiche standardizzate o le cui condizioni sono definite dal mercato, fatta eccezione per i servizi ad alta intensità di manodopera, per i quali è obbligatorio il criterio dell’OEPV (combinato disposto art. 95, comma 4, lett. b e co. 5 del Codice, nel testo risultante dalle modifiche apportate dalla L. 55/2019, art. 1, co. 20, lett. t).

Si osserva, infine, per completezza espositiva che per quanto riguarda gli appalti di lavori relativi a beni culturali, il criterio del minor prezzo è utilizzabile per i soli lavori di importo pari o inferiore a 500.000 euro (art. 148, comma 6 del Codice). Tale disposizione infatti non è stata modificata dallo Sblocca cantieri, né dalla legge di conversione. D’altra parte trattandosi di una disposizione speciale, siccome relativa a beni caratterizzati da specifiche peculiarità, non sembra possibile affermare un’abrogazione implicita del citato art. 148, comma 6 per incompatibilità con la sopravvenuta disposizione di cui all’art. 36, comma 9 bis del Codice.

6) Criteri di aggiudicazione

Fermo restando quanto sopraindicato circa i criteri di aggiudicazione per gli appalti sottosoglia, occorre altresì rilevare che non è stata confermata in sede di conversione la disposizione con cui il D.L. Sblocca cantieri (art. 1, lett. s) aveva eliminato dal co. 10 bis dell'art. 95 del Codice il limite del 30% per il punteggio economico (già introdotta con il Correttivo) nell’ambito dei criteri dell’offerta economicamente più vantaggiosa (OEPV).

Per effetto della mancata conversione in legge della citata disposizione del D.L., di cui la L. 55/2019 ha comunque fatto salvi gli effetti, il detto limite del 30% pertanto permane in vigore.

Per la verità suscitava notevoli perplessità, ad avviso di chi scrive, la motivazione indicata nella relazione illustrativa del Governo al D.L. Sblocca cantieri per la soppressione di tale limite; motivazione che veniva individuata nella finalità di garantire maggiormente la discrezionalità della stazione appaltante nella determinazione dei punteggi in caso di OEPV.

L’esperienza operativa mostra, al contrario, che l’assenza di un limite al peso attribuito all’elemento prezzo, lungi dal favorire gli elementi qualitativi del criterio di aggiudicazione, favorisce piuttosto la “corsa al ribasso” degli operatori economici, con i noti deleteri effetti per le prestazioni dedotte nell’appalto, derivanti dai ribassi eccessivi (per i “correttivi” da utilizzare per limitare i detti effetti distorsivi: vedi Linee Guida n. 2 ANAC “Offerta economicamente più vantaggiosa”, aggiornate con Del. del Consiglio n. 424 del 2 maggio 2018).

7) Offerte anomale

Per effetto della procedura di infrazione n. 2018/2273 aperta dalla Commissione europea, ma anche per semplificare la disciplina previgente delle offerte anomale, sono state introdotte numerose modifiche all’art. 97 del Codice, modificando i requisiti per l’utilizzabilità dell’esclusione automatica delle offerte anomale per gli appalti sottosoglia, come anticipato al precedente paragrafo 5), in applicazione dei principi elaborati al riguardo dalla Corte di Giustizia europea (IV sez., sent. 15/5/2008, cause riunite C-147/06 e C-148/06).

Difatti, in base, all’art. 97, co. 8 del Codice, novellato dal D.L. 32/2019: nel caso di appalti di lavori, servizi e forniture sottosoglia, purchè non presentino carattere transfrontaliero, aggiudicati con il criterio del prezzo più basso, le stazioni appaltanti prevedono obbligatoriamente (non più in via facoltativa) nel bando l'esclusione automatica dalla gara delle offerte che presentano una percentuale di ribasso pari o superiore alla soglia di anomalia individuata ai sensi dei commi 2, 2-bis e 2-ter, come novellati dal D.L. Sblocca cantieri e dalla Legge di conversione; in ogni caso l’esclusione automatica non opera quando il numero delle offerte ammesse è inferiore a 10.

Le metodologie di calcolo della soglia di anomalia sono state ridotte da cinque a due, (eliminando il sorteggio previsto dalla disciplina previgente) ed articolate, in funzione anti turbativa, distintamente a seconda che il numero delle offerte ammesse sia pari o superiore a 15 (comma 2 novellato) ovvero che il numero delle offerte ammesse sia inferiore a 15 (comma 2 bis novellato).

Sono considerate anomale le offerte che presentano un ribasso pari o superiore alla soglia costituita dalla media aritmetica delle offerte ammesse con esclusione del 10% (arrotondato all’unità superiore) di quelle di maggiore e minore ribasso (cd. taglio delle ali), così come modificata per effetto delle sommatorie e dei rapporti della detta media con lo scarto medio aritmetico dei ribassi percentuali che superano la media medesima.

In ogni caso i detti metodi per la determinazione della soglia di anomalia non si applicano quando il numero delle offerte ammesse sia inferiore a 5.

Inoltre, sempre in funzione anti turbativa, per non rendere predeterminabili dagli offerenti i parametri di riferimento per il calcolo della soglia di anomalia, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti può procedere con decreto alla rideterminazione delle modalità di calcolo per l’individuazione della soglia di anomalia (comma 3 ter, introdotto dal D.L. 32/2019, confermato dalla Legge di conversione).

Quando, invece, il criterio utilizzato è quello dell’OEPV, si prevede (art. 97, co. 3 novellato) che il metodo di determinazione dell’anomalia delle offerte (sia i punti relativi al prezzo, sia la somma dei punti relativi agli altri elementi di valutazione, sono entrambi pari o superiori ai 4/5 dei corrispondenti punti massimi previsti dal bando di gara) sia utilizzato qualora il numero delle offerte ammesse sia pari o superiore a tre, ferma restando l’applicazione dell'ultimo periodo del co. 6 dell’art. 97 del Codice, secondo cui la stazione appaltante in ogni caso può valutare la congruità di ogni offerta che, in base ad elementi specifici, appaia anormalmente bassa.

8) Abrogazione rito superaccelarato

Il D.L. Sblocca cantieri, confermato dalla Legge 55/2019 di conversione, ha eliminato il cd. rito superaccelerato che era stato introdotto nell’art. 120 del Codice del Processo amministrativo (CPA) con l’art. 204 del D. Lgs. 50/2016 s.m.i., per l’impugnazione immediata delle ammissioni ed esclusioni disposte in esito alla prima fase della gara, in esito alla verifica della documentazione attestante l'assenza dei motivi di esclusione, nonché la sussistenza dei requisiti economico-finanziari e tecnico-professionali.

Sono stati abrogati in particolare i commi 2 bis e 6 bis dell’art. 120 CPA, che prevedevano appunto il rito superaccelerato e sono state apportate le conseguenti modifiche agli ulteriori commi (5,7,9 ed 11) dell’art. 120 CPA in ragione della predetta abrogazione.

Vale peraltro rilevare che per effetto dell’abrogazione del comma 2 bis art. 120 CPA, deve ritenersi oggi nuovamente possibile far valere mediante ricorso incidentale l’illegittima ammissione del ricorrente (per mancanza dei requisiti) per paralizzarne l’impugnativa.

Malgrado la detta abrogazione, invece, deve ritenersi tuttora inammissibile l'impugnazione della proposta di aggiudicazione, in quanto atto endoprocedimentale privo di immediata lesività.

Per espressa previsione del D.L. 32/2019 (art. 1, co. 5), le modifiche all’art. 120 CPA conseguenti all’abrogazione del rito superaccelerato, si applicano ai processi iniziati successivamente al 19 aprile 2019 data di entrata in vigore del D.L.

Si rammenta, per completezza di informativa che, in base all’art. 95, comma 15 del Codice ogni variazione che intervenga, anche in conseguenza di una pronuncia giurisdizionale, successivamente alla fase ammissione, regolarizzazione o esclusione delle offerte, non rileva ai fini del calcolo di medie nella procedura, né per l’individuazione della soglia di anomalia delle offerte.

8.1) Eliminazione obbligo di pubblicazione sul profilo del committente elenco ammessi ed esclusi – Obbligo di comunicazione a mezzo PEC

Correlativamente all’abrogazione del rito superaccelerato per impugnare ammissioni/esclusioni, il D.L. 32/2019 (art. 1, co. 1, lett. c) ha soppresso anche l’obbligo - strumentale alle dette impugnative (già previsto dall’art. 29, co. 1, 3° e 4°periodo, D. Lgs. 50/2016) - di pubblicazione sul profilo del committente, nei due giorni successivi all’adozione dei relativi atti, delle ammissioni ed esclusioni.

Restano fermi gli altri obblighi di pubblicazione sul profilo del committente in ossequio al principio di trasparenza previsti dal citato art. 29, co. 1, 1° e 2° periodo del Codice, relativamente a tutti gli atti delle stazioni appaltanti relativi alla programmazione di lavori, opere, servizi e forniture, nonché alle procedure di affidamento di appalti e concessioni.

Vale rilevare che, a fronte della soppressione dell’obbligo di pubblicazione sul profilo del committente, è stato introdotto l’obbligo per la stazione appaltante di comunicare a candidati/concorrenti, a mezzo PEC ed entro 5 giorni dall’adozione, il provvedimento che determina le esclusioni dalla procedura e le ammissioni ad essa all’esito della verifica della documentazione attestante l'assenza dei motivi di esclusione, nonché la sussistenza dei requisiti economico-finanziari e tecnico-professionali, indicando l'ufficio o il collegamento informatico ad accesso riservato dove sono disponibili i relativi atti (art. 76, comma 2 bis del Codice, introdotto dal D.L. 32/2019).

9) Motivi di esclusione – Prova e validità dei certificati

9.1)

Le modifiche apportate con lo Sblocca Cantieri e con la Legge di conversione all’art. 80 del Codice, sui motivi di esclusione sono state determinate dai rilievi derivanti dalla procedura di infrazione n. 2018/2273 (cause di esclusione dei subappaltatori, etc.), nonché dalla necessità di adeguare il testo del Codice alle novità del cd. Spazza – corrotti.

Pertanto, in dettaglio sono state introdotte le seguenti principali modifiche:

1) nelle more della complessiva revisione del Codice e sino al 31 dicembre 2020, i motivi di esclusione riguardanti il subappaltatore non rilevano più ai fini dell’esclusione del concorrente, bensì ai soli fini dell’autorizzazione al subappalto (vedi precedente paragrafo B, n. 7);

2) è stato introdotto come motivo di esclusione espresso il grave inadempimento dell’operatore economico nei confronti di uno o più subappaltatori, riconosciuto o accertato con sentenza passata in giudicato (lett. c quater, co. 5 art. 80, introdotta dall'art. 1, co. 20, lett. o), L. n. 55 del 2019);

3) è stato confermato (co. 2, ult. periodo, art. 80) che le imprese sottoposte ad interdittiva antimafia oggetto di impugnazione, possono richiedere al prefetto l'applicazione del controllo giudiziario sull'azienda, evitando così il divieto di contrattazione con la P.A. e dunque l'esclusione dalla gara (art. 34 bis, co. 6 e 7, D. Lgs. n. 159/2011);

4) è stato precisato (al comma 3, art. 80) che: i) i motivi di esclusione operano anche nei confronti del socio di maggioranza anche quando la società abbia un numero di soci pari o inferiore a quattro (non più solo inferiore a tale numero); ii)nei casi di condanna ad una pena accessoria perpetua, l’esclusione non opera quando tale condanna è stata dichiarata estinta ai sensi dell’art. 179, comma 7, del codice penale; 5) sono state meglio precisate le procedure concorsuali e di crisi di impresa che determinano l’esclusione, individuate (lett. b, comma 5, art. 80) nello stato di fallimento, liquidazione coatta, concordato preventivo ovvero nella pendenza del procedimento per la dichiarazione di una di tali situazioni, fermo restando quanto previsto dall’art. 110 del Codice (anch’esso integralmente riformulato, come di seguito indicato) e dall’art. 186 bis della L. Fallimentare (R.D. 267/1942) per il concordato con continuità;

6) è stato riformulato il comma 10 dell’art. 80 del Codice con l’allineamento alla disciplina dello Spazza – corrotti; pertanto se la sentenza di condanna definitiva non fissa la durata della pena accessoria dell’incapacità a contrattare con la P.A., l’interdizione è: a) perpetua nei casi in cui alla condanna consegue di diritto la pena accessoria perpetua, ai sensi dell’art. 317 bis, co. 1, primo periodo, Cod. penale, salvo che la pena sia dichiarata estinta ai sensi dell’art. 179, settimo comma, Cod. penale; b) pari a 7 anni nei casi previsti dall’art. 317-bis, co. 1, secondo periodo, Cod. penale, salvo che sia intervenuta riabilitazione; c) pari a 5 anni nei casi diversi da quelli di cui alle lett. a) e b), salvo che sia intervenuta riabilitazione;

7) è stata introdotta la previsione (co. 10 bis art. 80) per cui, nei casi stabiliti dal comma 5 dell’art. 80 (comprensivi dell’illecito professionale e della risoluzione del contratto in danno), la durata di esclusione di 3 anni decorre dalla data di accertamento del fatto in via amministrativa ovvero, in caso di contestazione in giudizio, dalla data della sentenza passata in giudicato; nelle more della definizione del giudizio, la stazione appaltante deve comunque tenerne conto, nell’esercizio della propria discrezionalità, per la valutazione della sussistenza del presupposto per l’esclusione;

Per completezza espositiva si osserva, infine, che non è stata invece confermata in sede di conversione la disposizione che era stata introdotta con il D.L. Sblocca cantieri nel comma 4 art. 80 del Codice per effetto della procedura di infrazione, che consentiva alla stazione appaltante di escludere il concorrente nel caso in cui la stazione appaltante fosse a conoscenza e potesse dimostrare, che l'operatore economico non era in regola con gli obblighi fiscali o contributivi anche se essi non fossero stati definitivamente accertati, con sentenze o atti amministrativi non più soggetti ad impugnazione; pertanto il motivo di esclusione in esame, come per il passato resta vincolato alla sussistenza del definitivo accertamento dell’irregolarità con i detti provvedimenti.

9.2) Validità certificazioni comprovanti l’assenza dei motivi di esclusione

Con l’introduzione (ad opera dell'art. 1, co. 16, L. 55/2019) del comma 2 bis dell’art. 86 del Codice è stato espressamente previsto che, ai soli fini della prova dell’assenza dei motivi di esclusione di cui all’art. 80 del Codice per il concorrente, le imprese ausiliarie di cui si avvale ai sensi dell’art. 89 e per i subappaltatori, i relativi certificati (incluso il casellario giudiziale ed il DURC) e documentazione hanno durata pari a sei mesi dalla data del rilascio.

Inoltre è prevista un’ultrattività di ulteriori 60 giorni dei detti certificati, atteso che la stazione appaltante, eccezion fatta per il DURC, per i certificati e documenti già acquisiti e scaduti da non oltre 60 giorni, qualora sia pendente il procedimento di acquisizione, può verificare l’assenza dei motivi di esclusione richiedendo direttamente agli enti certificatori di confermare il contenuto dei certificati; gli enti certificatori sono tenuti a riscontrare la richiesta nel termine di 30 giorni, decorso il quale per silenzio assenso il contenuto si intende confermato.

I certificati e gli altri documenti in corso di validità possono essere utilizzati anche per procedimenti diversi da quelli per i quali sono stati acquisiti.

10) Proroga esternalizzazione concessionari – Concessioni autostradali

Con la L. 55/2019 (art. 1, co. 20, lett. bb) è stato ulteriormente prorogato al 31 dicembre 2020 l’obbligo di esternalizzazione previsto per i concessionari titolari di concessioni già in essere alla data di entrata in vigore del Codice dei contratti pubblici, non affidate con la formula della finanza di progetto ovvero con procedure di gara ad evidenza pubblica secondo il diritto dell'Unione europea.

Con la norma transitoria introdotta al comma 27 sexies dell’art. 216 del Codice, è previsto che per le concessioni autostradali già scadute o in scadenza entro 36 mesi dal 19/4/2019 ed il cui bando sia pubblicato entro il 31/12/2019, il concedente può avviare le procedure di gara per l'affidamento della concessione anche sulla base del solo fabbisogno predisposto dal medesimo concedente, limitatamente agli interventi di messa in sicurezza dell'infrastruttura esistente.

11) Finanza di progetto (art. 183 del Codice)

Viene introdotta (art. 183, comma 17 bis) la possibilità per gli investitori istituzionali, inclusa Cassa Depositi e Prestiti, nonchè per gli istituti di promozione di presentare proposte di finanza di progetto per interventi non previsti dalla programmazione degli enti, anche associandosi o consorziandosi, in mancanza dei requisiti tecnici, con soggetti qualificati per servizi di progettazione.

12) Procedure in caso di crisi di impresa (art. 110 del Codice)

L’art. 2 dello Sblocca cantieri (confermato dalla Legge di conversione n. 55/2019) ha anticipato l’entrata in vigore di alcune modifiche introdotte con il D. Lgs. 14/2019, Codice sulla crisi di impresa, destinato ad entrare in vigore, salvo alcune disposizioni già operative, il 15 agosto 2020.

In particolare, è stato integralmente sostituito l’art. 110 D. Lgs. 50/2016 s.m.i. con: (i) l’eliminazione della possibilità (sinora ammessa su autorizzazione del giudice) per l’impresa fallita autorizzata all’esercizio provvisorio di partecipare a nuove procedure di affidamento di concessioni e appalti di lavori, forniture e servizi ovvero di essere affidataria di subappalti. Resta ferma la possibilità per l’impresa fallita, autorizzata all’esercizio provvisorio, di proseguire nell’esecuzione dei contratti già stipulati con l’autorizzazione del giudice delegato; (ii) l’estensione della disciplina prevista dall’art. 186 bis R.D. 267/1942 s.m.i. (Legge Fallimentare) alle imprese che hanno depositato la domanda per il concordato cd. in bianco (art. 161, co. 6 L. Fallimentare), con la precisazione che tra la data del deposito della domanda ed il deposito del decreto di ammissione al concordato preventivo (art. 163 L. Fallimentare), è necessario l’avvalimento (art. 89 D. Lgs. 50/2016 s.m.i.) per partecipare alle procedure di affidamento dei contratti pubblici; successivamente all’ammissione al concordato preventivo, l’avvalimento non è più necessario, tuttavia l’ANAC può comunque subordinare la partecipazione alla gara, l’affidamento od il subappalto alla necessità che l’impresa in concordato si avvalga comunque di un altro soggetto i possesso dei requisiti (generali e di capacità finanziaria, tecnico economica), che si impegni nei confronti della stazione appaltante e del concorrente a mettere a disposizione per tutta la durata dell’appalto le risorse necessarie all’esecuzione ed a subentrare al concorrente ove questo non sia in grado di dare regolare esecuzione al contratto e non sia in possesso dei requisiti aggiuntivi stabiliti dall’ANAC con apposite Linee Guida. In ogni caso, ai sensi dell’art. 186 bis, co. 4 Legge Fallimentare (novellato dallo Sblocca cantieri) successivamente al deposito della domanda di cui all’art. 161 L. Fallimentare, la partecipazione alle procedure di affidamento di contratti pubblici deve essere autorizzata dal Tribunale, e, dopo il decreto di apertura della procedura, dal giudice delegato, acquisito il parere del commissario giudiziale ove già nominato; (iii) l’impresa ammessa al concordato preventivo può proseguire l’esecuzione dei contratti pubblici in corso a condizione che il professionista designato dal debitore attesta che la continuazione è necessaria per la migliore liquidazione dell’azienda in esercizio (art. 186 bis, co. 3, ult. periodo, aggiunto dallo Sblocca cantieri).

La nuova disciplina recata dall’art. 110 del Codice, si applica alle procedure di gara:

- di cui il bando od avviso con cui si indice la gara sia pubblicato nel periodo compreso tra il 19 aprile 2019 ed il 15 agosto 2020, data di entrata in vigore del D. Lgs. n.14/2019, ovvero

- per i contratti non preceduti dalla pubblicazione di bandi od avvisi, alle procedure in cui gli inviti a presentare le offerte siano inviati nel corso del medesimo periodo temporale

a decorrere dal 15 agosto 2020, si applicano le disposizioni stabilite dall’art. 372 del citato D. Lgs. 14/2019.

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Nella Gazzetta Ufficiale n. 109 dell’11 maggio 2019 è stata pubblicata la L. 3 maggio 2019, n. 37, denominata “Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea - Legge europea 2018” (allegata in pdf per pronta consultazione). A breve distanza dalle modifiche introdotte con il D.L. 32/2019 (cd. Sblocca-Cantieri), quindi, va segnalata l’ulteriore modificazione al Codice Contratti Pubblici e, segnatamente, all’art. 113-bis, D. Lgs. 50/2016 in tema di pagamenti delle pubbliche amministrazioni e di penali.

L’art. 5, della Legge europea 2018, infatti, sostituisce integralmente il testo del previgente art. 113-bis D. Lgs. 50/2016 s.m.i. rispondendo, come si legge nel Dossier – Servizio studi – A.S. n. 822-B, “all’impegno assunto dal Governo italiano di porre rimedio all’apertura della procedura di infrazione 2017/2090 in materia di pagamenti negli appalti pubblici. La procedura è allo stato del parere motivato e inerisce, più in particolare, alla disciplina dei termini di pagamento delle stazioni appaltanti pubbliche in favore degli appaltatori”.

Il nuovo testo dell’art. 113-bis, mutato anche nella rubrica oggi denominata “Termini di pagamento. Clausole penali”, si compone di 4 commi qui di seguito esaminati.

Il comma 1, riferito agli acconti, stabilisce che gli stessi sono corrisposti all’appaltatore entro 30 giorni da ogni SAL, a meno che sia espressamente concordato un termine diverso (mai superiore a 60 giorni) quando tale termine più lungo sia giustificato dalla natura particolare del contratto o da talune sua caratteristiche. Il certificato di pagamento deve essere emesso contestualmente al SAL e comunque non oltre 7 giorni dalla sua adozione.

Parimenti, in sede di collaudo (o verifica di conformità) ai sensi del comma 2, il RUP entro un termine non superiore a 7 giorni è tenuto a rilasciare il certificato di pagamento ai fini dell’emissione della fattura da parte dell’appaltatore. Il pagamento deve essere effettuato nel termine di 30 giorni decorrenti dall’esito positivo del collaudo (o verifica di conformità), salvo che sia espressamente concordato nel contratto un diverso termine, comunque non superiore a 60 giorni e purché ciò sia oggettivamente giustificato dalla natura particolare del contratto o da talune sue caratteristiche.

Come nel testo previgente, viene stabilito che il certificato di pagamento non costituisce presunzione di accettazione dell’opera, ai sensi dell’art. 1666, comma 2, Codice Civile e si ribadisce la validità dell’art. 4, comma 6, D. Lgs. 231/2002 s.m.i. per cui, in presenza di procedure volte ad accertare la conformità della merce o dei servizi al contratto, la stessa non può avere una durata superiore a 30 giorni dalla data della consegna della merce o della prestazione del servizio, salvo che sia diversamente ed espressamente concordato dalle parti, previsto nella documentazione di gara e sempre che non si tratti di una condizione gravemente iniqua per il creditore ai sensi dell'art. 7 D. Lgs. 231/2002 s.m.i.. L'accordo, poi, deve essere provato per iscritto.

Infine, il comma 4, disciplina le penali a carico dell’impresa affidataria ribadendo il precedente regime dell’art. 113-bis, comma 2. Dunque, rimangono fermi i due requisiti: il primo, relativo alle modalità di calcolo, che devono essere commisurate ai giorni di ritardo rispetto all’ultimazione e devono essere comprese tra lo 0,3‰ e l’1‰ dell’ammontare netto del contratto, avuto riguardo dell’entità delle conseguenze del ritardo; l’altro, di carattere proporzionale, per cui l’ammontare non può comunque superare il 10% dell’ammontare totale netto.

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Martedì, 22 Gennaio 2019 19:06

Conferenza servizi: ritirata circolare

Secondo quanto si legge nel sito del Dipartimento della Funzione Pubblica la circolare n. 4/2018 del 3 dicembre 2018 sulla conferenza di servizi, “in corso di Registrazione alla Corte dei Conti, è stata ritirata per svolgere nuovi approfondimenti sulla materia”. In attesa di conoscere gli eventuali sviluppi della vicenda, cui daremo l’opportuno risalto, riteniamo comunque utile lasciare a Vs. disposizione gli approfondimenti recentemente pubblicati nel sito. Con l’ovvia avvertenza che, almeno fino a nuovo avviso, le parti riferite alla circolare n. 4/2018 devono considerarsi non utilizzabili.

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1) Introduzione

Nella Gazzetta Ufficiale n. 162 del 13 luglio 2016 è stato pubblicato il decreto legislativo 30 giugno 2016, n. 127, denominato “Norme per il riordino della disciplina in materia di conferenza di servizi, in attuazione dell’articolo 2 della legge 7 agosto 2015, n. 124”.

Il D. Lgs. 127/2016 è entrato in vigore il 28 luglio 2016, costituisce uno dei decreti attuativi della c.d. Riforma Madia della P.A. e si compone di due titoli.

Il Titolo I “Disciplina generale della conferenza di servizi”, composto del solo art. 1, sostituisce integralmente gli artt. 14, 14-bis, 14-ter, 14-quater e 14-quinquies della legge 7 agosto 1990, n. 241. Come precisato nell’art. 7, d.lgs. 127/2016, le disposizioni del decreto “trovano applicazione ai procedimenti avviati successivamente alla data della sua entrata in vigore”.

Dunque, almeno per un certo periodo di tempo, sussistevano due regimi alternativi: uno “ad esaurimento” per le conferenze indette prima del 28 luglio 2016 (disciplinato dai previgenti artt. 14 “Conferenza di servizi”, 14-bis “Conferenza di servizi preliminare”, 14-ter “Lavori della conferenza di servizi”, 14-quater “Effetti del dissenso espresso nella conferenza di servizi”, 14-quinquies “Conferenza di servizi in materia di finanza di progetto”); uno “a regime” per le conferenze indette dal 28 luglio 2016 in poi: cui sono dedicate le considerazioni del presente contributo.

Il Titolo II “Disposizioni di coordinamento con le discipline settoriali della conferenza di servizi”, composto degli artt. 2, 3, 4 e 5, prevede limitate modifiche alle seguenti disposizioni:

a) artt. 5 e 20, d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia);

b) art. 38, co. 3, lett. f), D.L. n. 112/2008 (conv. con modif. in L. n. 133/2008) e art. 7, d.P.R. n. 160/2010 (c.d. SUAP, Sportello unico per le attività produttive);

c) art. 4, d.P.R. n. 59/2013 (c.d. AIA – Autorizzazione integrata ambientale);

d) artt. 9, 25, 29-quater e 269, d.lgs. n. 152/2006 (c.d. Testo Unico Ambiente).

Gli artt. 6, 7 (sopra esaminato a proposito del regime transitorio) e 8 completano il titolo II del D. Lgs. 127/2016.

Con l’art. 6 sono dettate disposizioni di coordinamento con la disciplina in tema di autorizzazione paesaggistica (ex art. 146, d.lgs. n. 42/2004), prescrivendo opportunamente l’obbligo di comunicare l’indizione della conferenza ad entrambe le amministrazioni che devono pronunciarsi sul vincolo paesaggistico (Regione o autorità subdelegata e Soprintendenza).

Con l’art. 8, infine, si prevede una clausola generale di coordinamento con la restante normativa: in sintesi, i rinvii operati dalle disposizioni vigenti agli artt. 14 e ss. L. n. 241/1990, si intendono riferiti alla nuova disciplina della Conferenza di servizi introdotta dal d.lgs. 127/2016. Il riferimento è d’obbligo, quindi, all’art. 27 “Procedure di approvazione dei progetti relativi ai lavori” del Nuovo Codice dei Contratti Pubblici (d.lgs. n. 50/2016), il cui comma 1 richiama espressamente l’applicazione delle “disposizioni in materia di conferenza di servizi dettate dagli articoli 14-bis e seguenti della citata legge n. 241 del 1990”, seppure con alcune particolarità.

2) Che cos’è la conferenza di servizi

Secondo la circolare del Ministro della funzione pubblica n. 4/2018 del 3 dicembre 2018 (allegata in pdf per pronta consultazione, unitamente alle schede che la corredano) «la conferenza di servizi rappresenta uno snodo fondamentale per l’accelerazione del procedimento. Infatti, come più volte rilevato dal Consiglio di Stato, la conferenza di servizi, “rappresentando un modulo procedimentale di semplificazione, consente la valutazione complessiva e sincronica degli interessi pubblici coinvolti sia da parte dell'Amministrazione procedente (portatrice del c.d. interesse pubblico primario) sia da parte delle altre amministrazioni pubbliche coinvolte (portatrici dei cd. interessi pubblici secondari).

La conferenza di servizi, dunque, non costituisce solo un "momento" di semplificazione dell'azione amministrativa (come indicato dal capo IV della L. n. 241 del 1990), ma anche e soprattutto un momento di migliore esercizio del potere discrezionale della pubblica amministrazione, attraverso una più completa ed approfondita valutazione degli interessi pubblici (e privati) coinvolti, a tal fine giovandosi dell'esame dialogico e sincronico degli stessi. In altre parole, la valutazione tipica dell'esercizio del potere discrezionale (e la scelta concreta ad essa conseguente) si giova proprio dell'esame approfondito e contestuale degli interessi pubblici di modo che la stessa, ove avvenga in difetto di tutti gli apporti normativamente previsti, risulta illegittima perché viziata da eccesso di potere per difetto di istruttoria, che si riverbera sulla completezza ed esaustività della motivazione” (Consiglio di Stato IV, Sent., 1 dicembre 2016, n. 5044)».

3) Le altre indicazioni ministeriali

Oltre alla circolare ministeriale n. 4/2018 e alla “Guida alla nuova conferenza di servizi” e ad alcune “F.A.Q.”,  degna di menzione è anche la Circolare dell’Ufficio legislativo del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (n. 22539 del 27 luglio 2016) parimenti qui resa disponibile in PDF, per comodità di consultazione.

La Circolare n. 4/2018 affronta in dettaglio le seguenti tematiche: 1) modalità di svolgimento delle conferenze di servizi; 2) rappresentante unico di governo; 3) decisione della conferenza di servizi (effetti procedurali ed efficacia sostanziale); 4) procedimento di opposizione in caso di dissenso qualificato; 5) disposizioni di coordinamento fra la disciplina generale e le varie discipline settoriali che regolano lo svolgimento della conferenza di servizi.

Tanto premesso, si formulano di seguito alcune considerazioni che possono valere ad orientare gli operatori del settore, manifestando la disponibilità dello Studio a fornire consulenza e assistenza nello svolgimento della procedura.

4) Le quattro tipologie di conferenza di servizi

L’art. 14, L. 241/90 prevede n. 3 tipologie di conferenza di servizi di cui una a carattere obbligatorio costituita dalla conferenza “decisoria” alla quale si ricorre quando devono essere acquisiti più atti di assenso, pareri, ecc. di competenza di diverse PP.AA. (almeno due, diverse da quella procedente ed intese nel senso di “plurime e ulteriori”) e altre due conferenze.

Una prima, a carattere facoltativo, costituita della conferenza “istruttoria” (che si svolge con le modalità previste dall’art. 14-bis o con altre modalità fissate dall’amministrazione procedente); un’altra, rispettivamente a carattere eventuale od obbligatorio, costituita della conferenza “preliminare” (da svolgersi in presenza di “progetti di particolare complessità e di insediamenti produttivi di beni e servizi” o, “nelle procedure di realizzazione di opere pubbliche o di interesse pubblico”, da tenersi sul “progetto di fattibilità tecnica ed economica” di cui all’art. 23, d.lgs. 50/2016).

Come chiarito nella scheda n. 1 allegata alla circolare ministeriale n. 4/2018, con la conferenza preliminare «le amministrazioni esprimono un avviso “anticipato” sulla possibilità di prestare l’assenso finale, in questo modo auto-vincolandosi a non esprimere successivamente ragioni di impedimento che non trovino giustificazioni in eventuali fatti sopravvenuti (“emersi nelle fasi successive del procedimento anche a seguito delle osservazioni dei privati sul progetto definitivo”). La successiva conferenza sul progetto definitivo è indetta dall’amministrazione procedente direttamente in forma simultanea. In questa sede le amministrazioni coinvolte devono attenersi a quanto indicato nella conferenza preliminare: le determinazioni espresse nella conferenza preliminare possono essere modificate o integrate, come spiegato, solo in presenza di significativi elementi emersi nelle fasi successive del procedimento, anche a seguito delle osservazioni dei privati sul progetto definitivo». Su quest'ultima tipologia di conferenza, inoltre, va segnalata la sentenza del Tar Sardegna, sez. I, 08/03/2018, n. 185, che fornisce interessanti precisazioni su tale istituto.

Una quarta conferenza di servizi concerne, infine, i progetti sottoposti a valutazione di impatto ambientale (c.d. “VIA”) in cui la conferenza “… rappresenta il "luogo" nel quale confluiscono gli esiti dell'integrazione di due procedimenti, quello finalizzato al rilascio del provvedimento autorizzatorio per la realizzazione di un intervento e quello relativo al giudizio di compatibilità ambientale che deve esprimersi sul relativo progetto (v. l'art. 25, comma 3, del d.lgs. n. 152 del 2006). In tal modo il giudizio di compatibilità ambientale espresso a seguito dei lavori della conferenza andrà a sostituire tutti gli atti di assenso necessari per la realizzazione e l'esercizio dell'opera o dell'impianto” (così Punto 3 della Circolare MIBACT).

Tali previsioni sono ulteriormente rafforzate in seguito alle modificazioni disposte dall’art. 24, comma 1, D.Lgs. 16/06/2017, n. 104, che ha sostituito il comma 4 dell’art. 14, legge n. 241/1990 con il seguente testo: “qualora un progetto sia sottoposto a valutazione di impatto ambientale di competenza regionale, tutte le autorizzazioni, intese, concessioni, licenze, pareri, concerti, nulla osta e assensi comunque denominati, necessari alla realizzazione e all'esercizio del medesimo progetto, vengono acquisiti nell'ambito di apposita conferenza di servizi, convocata in modalità sincrona ai sensi dell'articolo 14-ter, secondo quanto previsto dall'articolo 27-bis del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152” (ossia, secondo quanto previsto in tema di provvedimento autorizzatorio unico regionale dal cd. Testo Unico Ambiente).

5) Le modalità di svolgimento della conferenza

L’art. 14-bis prevede le modalità di svolgimento della conferenza “semplificata(che rappresenta la regola) ed è svolta senza la presenza fisica contestuale delle varie PP.AA. chiamate ad esprimersi in conferenza (“in modalità asincrona”).

Sono previsti tempi serrati per portare a termine la procedura: 45 giorni ovvero 90 giorni quando sono coinvolte le amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico territoriale, dei beni culturali ovvero alla tutela della salute dei cittadini.

Come chiarito nella scheda, quando alla conferenza partecipano amministrazioni non preposte alla tutela di interessi sensibili, il termine previsto per il rilascio dei rispettivi pareri è stabilito al massimo in quarantacinque giorni. Il termine ha carattere “mobile” in quanto può essere modificato su valutazione discrezionale del responsabile del procedimento per consentire l’allineamento al termine finale di conclusione del procedimento che deve essere obbligatoriamente rispettato.

Per quanto riguarda, invece, gli atti di assenso delle amministrazioni preposte alla tutela di interessi sensibili, la scheda ha cura di precisare che a tali amministrazioni “viene riconosciuto un periodo più lungo (rispetto ai 45 giorni stabiliti dall’art. 14-bis, c. 2 primo periodo) per svolgere la rispettiva istruttoria e rendere le proprie determinazioni relative alla decisione oggetto della conferenza … Spetta, dunque, all’amministrazione procedente, per ciascun atto di assenso dell’amministrazione titolare di interessi sensibili coinvolta nel procedimento principale, verificare se il legislatore di settore (o l’amministrazione nel caso dei Regolamenti sui termini procedimentali) ha stabilito specifici termini”, per cui: (i) “qualora non sia stato indicato dal legislatore di settore (o dall’amministrazione nel caso di adozione di Regolamenti sui termini procedimentali) alcun termine specifico, il termine da indicare alle amministrazioni preposte alla tutela di interessi sensibili per rendere le proprie determinazioni è fissato in 90 giorni”, termine da considerarsi “fisso”, ossia non ampliabile o riducibile; (ii) “qualora sia stato indicato dal legislatore di settore (o dall’amministrazione nel caso dei Regolamenti sui termini procedimentali) uno specifico termine al rilascio dell’atto di assenso, questo stesso termine deve essere indicato dall’amministrazione procedente come termine finale per il rilascio della determinazione conclusiva della conferenza”

5.1     Ai sensi dell’art. 14-quater, la Conferenza di servizi si conclude con la “determinazione motivata di conclusione positiva di conferenza”, secondo le modalità che saranno esaminate nel successivo paragrafo.

Secondo la circolare ministeriale n. 4/2018, la conferenza … “asincrona” si svolge “tramite il semplice scambio informatico di informazioni e di documenti tra i rappresentanti delle amministrazioni interessate al rilascio del provvedimento finale”, così da consentire “la formazione della decisione a distanza e in tempi differenziati anche con il ricorso allo strumento del silenzio-assenso (art. 14-bis)”.

5.2     In luogo della forma semplificata, che come detto rappresenta la regola, può essere intrapresa, solo in determinati casi (sin dall’inizio o dopo avere svolto la forma semplificata) la conferenza “simultanea e in modalità sincrona”, cioè con la presenza fisica dei rappresentanti (uno solo per ciascuna amministrazione) delle PP.AA., secondo le modalità previste dall’art. 14 – ter. In particolare, la conferenza simultanea è ammessa solo quando:

a) nel corso della conferenza semplificata sono stati acquisiti atti di assenso o dissenso con condizioni o prescrizioni che richiedono modifiche sostanziali (art.14bis, comma 6);

b) in casi di particolare complessità della decisione da assumere (art. 14bis, comma 7);

c) quando il progetto è sottoposto a VIA (valutazione di impatto ambientale) regionale (art. 14, comma 4).

In coerenza con le modalità di svolgimento “para-collegiale” di tale conferenza, sono dettate regole puntuali per: 1) garantire la legittimazione dei soggetti (fisicamente) partecipanti alle riunioni e legittimati ad esprimere (in modo definitivo ed univoco) la posizione dell’Amministrazione su tutte le decisioni; nonché per 2) individuare un unico soggetto che, per quanto riguarda l’amministrazione statale, sia espressione dello Stato-apparato o Stato-amministrazione in senso proprio (cfr. C. Stato, sez. V, 11 gennaio 2013, n. 112). In particolare, il rappresentante unico delle amministrazioni statali, quasi un mandatario ex lege, è nominato dal Presidente del Consiglio dei ministri o, per le amministrazioni periferiche, dal Prefetto, con la possibilità per le singole amministrazioni statali di intervenire ai lavori della conferenza, ma esclusivamente in funzione di supporto del predetto rappresentante unico.

Sotto questo profilo si segnala che l'Ufficio legislativo del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, con parere datato 7 agosto 2017, n. 2390, allegato in pdf, ha ulteriormente precisato le modalità applicative nel Ministero della conferenza di servizi prevista dagli artt. 14 e ss., legge 241/1990. Il parere individua chi del MIBACT (e in che modo) partecipa alle conferenze di servizi prendendo atto delle semplificazioni disposte dal d.lgs. 127/2016 in tema di rappresentante unico della P.A.. Sempre sotto questo profilo, infine, va segnalato l'ulteriore parere del Consiglio di Stato, Commissione Speciale, 27 aprile 2018, n. 1127 che si è espresso sulle modalità di applicazione dell'articolo 14-ter, comma 4, in merito al rappresentante unico delle amministrazioni statali in seno alla conferenza di servizi simultanea, che sono state recepite dalla Circolare n. 4/2018 della Funzione pubblica.

La circolare n. 4/2018, infine, ha cura di precisare che le regole decisionali della conferenza “simultanea” possono riassumersi come segue: “la decisione [è] assunta dall’amministrazione procedente, sulla base delle posizioni prevalenti espresse da rappresentanti unici delle amministrazioni statali, periferiche e di tutti gli enti e organismi ricompresi nello stesso livello territoriale di governo (art. 14-ter). Si riduce in tal modo il numero di interlocutori abilitati, in sede di conferenza, ad esprimere un dissenso, considerato anche che il contrasto può intervenire solo fra livelli di governo diversi”, mentre per le altre amministrazioni soccorrono le indicazioni della scheda allegata alla circolare qui di seguito riportate: “…il principio del rappresentante unico anche alle amministrazioni regionali e locali, ciascuna delle quali deve nominare un rappresentante unico di tutte le amministrazioni riconducibili alla medesima regione o al medesimo ente locale: questo comporta, per esempio, che vi debba essere un rappresentante unico non solo degli uffici della regione interessata, ma anche degli altri eventuali enti da essa dipendenti che sono tenuti a partecipare alla conferenza. L’autonomia concessa alle regioni e agli enti locali, quindi, riguarda solo “le modalità di designazione del rappresentante unico” e l’eventuale partecipazione degli enti e organismi rappresentati ai lavori della conferenza”. Le schede allegate alla circolare, inoltre, chiariscono ulteriormente che “la determinazione motivata di conclusione della conferenza rappresenta una sintesi delle posizioni espresse da ciascuna amministrazione coinvolta al rilascio del provvedimento finale. Ciò implica, in linea al carattere decisorio della conferenza, che i singoli atti di assenso confluiscono – secondo la valutazione del responsabile del procedimento – in un unico atto. Sul piano operativo, l’eventuale allegazione alla determinazione conclusiva dei singoli atti di assenso adottati dalle amministrazioni competenti non costituisce surrogato di motivazione. Spetta infatti al responsabile del procedimento l’obbligo di indicare in modo chiaro e dettagliato le scelte in concreto fatte”.

6) La decisione della conferenza: il silenzio-assenso

L’art. 14-quater fissa i principi e gli effetti della decisione della conferenza. In particolare, è prevista nel comma 1 una valenza sostitutiva della determinazione motivata di conclusione della conferenza cui si ricollega in caso di:

a) approvazione unanime delle amministrazioni, l’immediata efficacia della medesima determinazione;

b) dissenso, la possibilità delle amministrazioni dissenzienti [non preposte ad interessi qualificati di cui alla successiva lettera c)] di attivare un procedimento di autotutela ex art. 21-nonies o 21-quinquies, legge n. 241/1990;

c) approvazione “sulla base delle posizioni prevalenti”, la sospensione dell’efficacia della determinazione “ove siano stati espressi dissensi qualificati ai sensi dell’articolo 14-quinquies e per il periodo utile all’esperimento dei rimedi previsti”. Sul tema ampiamente dibattuto delle posizioni prevalenti giova riportare le indicazioni della scheda n. 4 allegata alla circolare n. 4/2018: “La decisione finale della conferenza di servizi è assunta dall’amministrazione procedente sulla base delle posizioni prevalenti espresse dai soggetti coinvolti. Ciò non significa che l’assenso deve sempre presupporre l’unanimità delle amministrazioni coinvolte o che si debba prendere atto della volontà della maggioranza delle stesse, quanto piuttosto che si devono bilanciare le ragioni manifestate in seno alla conferenza, verificando in che termini si delinei la prevalenza del soddisfacimento degli interessi in gioco.

Per la valutazione delle posizioni prevalenti, non si deve tenere conto solo di quelle espresse dalle amministrazioni che intervengono tramite un rappresentante, ma anche di tutte le altre amministrazioni che partecipano alla conferenza. Resta fermo, tuttavia, che per l’adozione delle determinazioni della conferenza simultanea non è prevista una votazione, nella quale si possano definire maggioranze e minoranze”.

La scheda così prosegue: “una conclusione di questo tipo, peraltro, è in linea con gli indirizzi normativi e giurisprudenziali formatisi in relazione al tema delle c.d. posizioni prevalenti. In particolare, per esse s’intendono le posizioni che hanno un peso specifico superiore alle altre per l’importanza degli interessi tutelati in relazione al caso concreto e al risultato collegato del procedimento in esame. Il peso delle posizioni prevalenti deve essere valutato sulla base di un approccio qualitativo e sostanziale e non numerico e quantitativo (Cfr. Presidenza Consiglio dei Ministri, “linee guida operative”, 10 gennaio 2013)”. In questo senso anche Consiglio di Stato del 27 agosto 2014, n. 4374: “L’amministrazione procedente, chiamata ad adottare il provvedimento finale, deve tenere conto delle posizioni prevalenti espresse in seno alla conferenza, ma non essendo in presenza di un organo collegiale, bensì di un modulo procedimentale, ciò non significa che deve attuare la volontà della maggioranza delle amministrazioni, quanto piuttosto che deve esercitare un potere discrezionale bilanciando le ragioni manifestate in seno alla conferenza, verificando in che termini si delinei la prevalenza del soddisfacimento degli interessi in gioco. Pertanto, il ruolo assunto dall'amministrazione procedente non è meramente notarile, ma di sintesi delle ragioni emerse, dovendone ponderare l'effettiva rilevanza per come sono state in concreto prospettate, al fine di esprimere un giudizio di prevalenza”.

6.1     Come anticipato, le determinazioni delle amministrazioni coinvolte devono essere rese nel termine indicato dall’amministrazione procedente nella comunicazione di indizione della conferenza (ossia, per quanto detto sopra, entro 45 e o 90 giorni).

Esclusi i casi in cui disposizioni del diritto dell’Unione Europea richiedono l’adozione di provvedimenti espressi (ad esempio VIA, AIA, emissioni in atmosfera ecc.), la mancata comunicazione della determinazione entro tali termini equivale ad assenso senza condizioni.

In dettaglio, come chiarito nella scheda allegata alla circolare n. 4/2018, “Per assicurare che la conferenza di servizi si concluda con una decisione finale, è stabilito– in via generale – il meccanismo del silenzio assenso che si applica a tutte le amministrazioni interpellate (comprese dunque quelle titolari di interessi sensibili) quando: omettono di manifestare la loro posizione nei termini indicati dall’art. 14-bis, c. 2 lettera c); esternano la loro posizione senza i requisiti stabiliti dall’art. 14-bis, c.3 (congrua motivazione, indicazione chiara e analitica delle modifiche richieste etc.). L’unica eccezione è rappresentata dal caso in cui disposizioni del diritto dell’Unione Europea richiedano l’adozione di provvedimenti espressi (ad esempio VIA, AIA, emissioni in atmosfera). Sul piano degli effetti, il silenzio dell’amministrazione interpellata è equiparato ope legis ad un atto di assenso senza condizioni (parere del Consiglio di Stato, Commissione Speciale, 13 luglio 2016 n.1640). A rafforzare l’operatività del meccanismo, è prevista l’attribuzione della responsabilità (per l’assenso reso seppur implicitamente) direttamente in capo all’amministrazione interpellata”. Per eventuali approfondimenti sugli effetti del dissenso espresso extra-conferenza di servizi e sulle modalità di superamento del dissenso, si rinvia alle sentenze del Consiglio di Stato, sez. V, 9 maggio 2018, n. 2790 e Id., 12 novembre 2018, n. 6342.

7) L’opposizione alla decisione di conferenza

L’art. 14-quinquies, infine, prevede un meccanismo di “opposizione” per le amministrazioni dissenzienti, preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, dei beni culturali o alla tutela della salute e della pubblica incolumità dei cittadini.

La circolare n. 4/2018 riepiloga così il procedimento di opposizione disciplinato dall’art. 14-quinquies: “l’efficacia della determinazione conclusiva resta sospesa per 10 giorni durante i quali le amministrazioni dissenzienti – e che abbiano una posizione “qualificata” – possono eventualmente esperire un rimedio oppositivo. Trascorsi 10 giorni senza che sia esercitata opposizione, la decisione della conferenza diventa definitivamente efficace. In questo modo, è rimesso in capo alle amministrazioni dissenzienti l’onere di avviare una procedura per privare di efficacia la decisione assunta in base alle posizioni prevalenti in conferenza”.

7.1      L’opposizione delle PP.AA. preposte alla tutela dei cd. interessi sensibili prevede, in ultima analisi, una decisione del Consiglio dei Ministri che, a quanto consta, è già entrata a far parte della concreta azione amministrativa. La devoluzione della decisione al Consiglio dei Ministri, da intendersi quale "istanza amministrativa massima della Repubblica nella sua unità", viene considerata obbligatoria dalla giurisprudenza intervenuta sul precedente testo dell'art. 14-ter, legge n. 241/1990 (cfr. Cass. sez. un., 16/04/2018, n. 9338).

Quest'ultima decisione, a differenza di quanto avveniva con il pre-vigente art. 14-quater, legge n. 241/1990, non determina ipso iure la conclusione del procedimento, bensì si limita ad attribuire definitiva efficacia alla determinazione motivata di conclusione del procedimento adottata dall’amministrazione procedente ex art. 14-quater nuovo testo. Ma questo solo se il Consiglio dei Ministri rigetta l'opposizione. Quando, invece, il Consiglio dei Ministri accoglie (in tutto o in parte) l'opposizione, la sua decisione è atto (autonomo) di conclusione del procedimento censurabile come atto di alta amministrazione (cfr. Cons. Stato, parere I sez., 10/06/2016, n. 1152 e Cons. Stato, sez. IV, 27/03/2017, n. 1392 e 28/12/2017, n. 6120).

In sintesi, come indicato nella circolare n. 4/2018, la “procedura mira, in primo luogo, alla composizione dei vari interessi coinvolti; solo in caso di esito negativo delle stesse la questione è rimessa al Consiglio dei ministri (art. 14-quinquies). Si ritiene che anche questo meccanismo rappresenti un significativo elemento di semplificazione in quanto mira ad una soluzione definitiva delle questioni involte nei lavori della Conferenza per il tramite del massimo organo collegiale che riunisce i vertici delle Amministrazioni statali”.

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Il Ministro della funzione pubblica, con circolare del 3 dicembre 2018, n. 4/2018 (allegata in pdf per pronta consultazione), ha fornito una serie di chiarimenti in materia di attuazione della conferenza di servizi che, disciplinata dagli artt. 14 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241 sul procedimento amministrativo, è nota anche come il “procedimento dei procedimenti”.

La circolare si compone di una parte introduttiva di carattere generale cui seguono alcuni approfondimenti sui “cinque principali aspetti qualificanti” dell’istituto: 1) modalità di svolgimento della conferenza semplificata e simultanea, con indicazione dei relativi termini; 2) regole decisionali della conferenza “simultanea”, con valorizzazione del ruolo del responsabile del procedimento che non si può limitare ad una mera funzione notarile delle determinazioni delle amministrazioni partecipanti; 3) chiusura dei lavori della conferenza attraverso il rafforzamento del principio del silenzio-assenso che, seppure con alcune precisazioni, opera per tutte le amministrazioni che non si sottopongono alle regole della conferenza; 4) conclusione del procedimento in caso di dissenso qualificato ossia da parte di amministrazioni portatrici di interessi sensibili; 5) procedimento unico di opposizione delle amministrazioni dissenzienti qualificate [cfr. punto 4)] con deliberazione finale del Consiglio dei Ministri.

La circolare è corredata, infine, di 4 schede relative ai seguenti profili: 1) tipologie di conferenze di servizi; 2) conferenza di servizi semplificata; 3) conferenza di servizi simultanea; 4) effetti del dissenso e rimedi in opposizione. Tali schede (parimenti allegate in pdf per pronta consultazione) recano “un’analisi sistematica dell’istituto della conferenza di servizi … principalmente destinata ai soggetti attuatori”.

Per gli approfondimenti di dettaglio, si rinvia alla voce estesa sulla nuova conferenza di servizi aggiornata alla circolare n. 4/2018.

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L’articolo 5, decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135 (G.U. 14/12/2018, n. 290) e rubricato “Norme in materia di semplificazione e accelerazione delle procedure negli appalti pubblici sotto soglia comunitaria”, reca in effetti modifiche all’art. 80 del D. Lgs. 18 aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici o Codice), relativo ai motivi di esclusione concernenti i gravi illeciti professionali (già oggetto delle Linee Guida n. 6 dell’ANAC) applicabile a tutti gli affidamenti, sia quelli di rilievo comunitario, che quelli cd. “sottosoglia”.

Difatti, il citato art. 5 del D.L. 135/2018, ha sostituito la lett. c), co. 5 del Codice con le seguenti lettere c), c bis) e c ter):

c) la stazione appaltante dimostri con mezzi adeguati che l'operatore economico si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità;

c-bis) l'operatore economico abbia tentato di influenzare indebitamente il processo decisionale della stazione appaltante o di ottenere informazioni riservate a fini di proprio vantaggio oppure abbia fornito, anche per negligenza, informazioni false o fuorvianti suscettibili di influenzare le decisioni sull'esclusione, la selezione o l'aggiudicazione, ovvero abbia omesso le informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione;

c-ter) l'operatore economico abbia dimostrato significative o persistenti carenze nell'esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione che ne hanno causato la risoluzione per inadempimento ovvero la condanna al risarcimento del danno o altre sanzioni comparabili; su tali circostanze la stazione appaltante motiva anche con riferimento al tempo trascorso dalla violazione e alla gravità della stessa;”.

Per espressa previsione dello stesso art. 5, comma 2 del D.L. n. 135/2018, tali modificazioni si applicano alle procedure i cui bandi o avvisi sono pubblicati successivamente alla data di entrata in vigore del D.L. 135/2018 (cioè successivamente al 15/12/2018), ovvero, in caso di contratti senza pubblicazione di bandi o avvisi, alle procedure in cui, alla medesima data, non siano ancora stati inviati gli inviti a presentare le offerte.

La dichiarata finalità della modifica, per quanto indicato nella relazione illustrativa (A.S. 989), è quella di allineare il testo dell’art. 80, co. 5, lett. c), del D. Lgs. n. 50/2016 alla direttiva 2014/24/UE (art. 57, paragrafo 4), che considera in maniera autonoma le quattro fattispecie di esclusione già indicate in via esemplificativa nell’art. 80, co. 5, lett. c) del D. Lgs. 50/2016.

In effetti, al di là dello spacchettamento delle varie fattispecie, l’unica modifica di rilievo sembra essere quella contenuta nella lettera c-ter), laddove è stato eliminato l’inciso “non contestata in giudizio, ovvero confermata all'esito di un giudizio” con riferimento alla risoluzione per inadempimento comminata dalla Stazione Appaltante.

Sicchè, almeno in prima battuta, sembra evincersi dalla detta modifica che anche la risoluzione per inadempimento comminata dalla Stazione Appaltante costituisca causa di esclusione, a prescindere dal fatto che sia stata o meno contestata in giudizio e questo sia ancora pendente.

In sostanza quindi, seppure con un dovere di motivazione più stringente, sembra invece essere stata ampliata la discrezionalità della stazione appaltante. Sul punto, infatti, le Schede di lettura n. 94, elaborate dal Servizio Studi del Senato, sottolineano che “su tali circostanze la stazione appaltante deve motivare anche con riferimento al tempo trascorso dalla violazione e alla gravità della stessa”.

Del resto, come riconosciuto dal Consiglio di Stato, con sentenza sez. V, 2 marzo 2018, n. 1299, parimenti evocata nelle Schede di lettura testé citate, “l'elenco di cui alla lettera c) del comma 5 dell'articolo 80 del codice dei contratti pubblici, che annovera i gravi illeciti professionali non ha carattere tassativo, con conseguente possibilità per la stazione appaltante di operare una valutazione pienamente discrezionale in ordine agli inadempimenti posti in essere e che, pur non avendo dato luogo alle ipotesi esplicitamente indicate dalla norma, sono comunque classificabili come gravi errori professionali”.

 

Mercoledì, 05 Dicembre 2018 17:47

Obbligatoria la gara per i servizi legali?

L’ANAC con la delibera n. 907 del 24 ottobre 2018 (depositata il 5 novembre 2018), ha approvato le Linee guida n. 12 in tema di procedure per l’affidamento dei servizi legali (allegate in pdf per pronta consultazione), entrate in vigore il 28 novembre 2018 (pubblicate nella Gazzetta Ufficiale n. 264 del 13 novembre 2018).

Si rammenta, in via del tutto preliminare, che le Linee guida in esame costituiscono un atto di regolazione non vincolante, siccome adottate dall’Autorità ai sensi dell’art. 213, comma 2, del D. Lgs. 50/2016 s.m.i. (Codice Contratti Pubblici” o “Codice), per rispondere alle perplessità manifestate dagli operatori del settore circa l’esatta individuazione delle tipologie di servizi legali e le relative modalità di affidamento.

Tanto richiamato, si rileva che le Linee Guida, in dichiarata adesione all’impostazione del parere del Consiglio di Stato n. 2017 del 3 agosto 2018 (anch’esso allegato in pdf), distinguono i servizi legali in due macrocategorie:

1)    quelli previsti tra i servizi esclusi dall’art. 17, comma 1, lett. d)  del D. Lgs. 50/2016 s.m.i. (“Codice Contratti Pubblici” o “Codice”) consistenti, in buona sostanza secondo l’ANAC, nell’incarico professionale conferito ad hoc per la trattazione della singola controversia o questione, quando si riferisce ad “incarichi di patrocinio legale conferiti in relazione ad una specifica e già esistente lite” ovvero a “servizi di assistenza e consulenza legale preparatori ad un’attività di difesa in un procedimento di arbitrato, di conciliazione o giurisdizionale, anche solo eventuale” ovvero ancora ai “servizi prestati da notai relativi esclusivamente alla certificazione e autenticazione di documenti”, oltre agli altri servizi indicati nei paragrafi 1.3 e 1.4 delle Linee Guida;

2)    i servizi legali previsti dall’Allegato IX del Codice (individuati, in via residuale, nei servizi diversi da quelli previsti dall’art. 17) consistenti, secondo l’ANAC, non già in un incarico professionale, ma in un vero e proprio appalto di servizi per la gestione del contenzioso in modo continuativo o periodico ad un fornitore nell’unità di tempo considerata (di regola, un triennio). Si tratta di servizi legali aventi ad oggetto prestazioni diverse da quelle sopraelencate, quali in via esemplificativa, “consulenze non collegate ad una specifica lite” o le prestazioni “che, su richiesta delle stazioni appaltanti e nei limiti delle istruzioni ricevute, i fornitori realizzano in modo continuativo o periodico ed erogano organizzando i mezzi necessari e assumendo il rischio economico dell’esecuzione, come nell’ipotesi di contenzioso seriale affidato in gestione al fornitore” (cfr. paragrafo 2, Linee guida).

La prima categoria costituisce un contratto d’opera professionale (art. 2229 ss. Cod. Civ.) ed è sottoposta al regime di cui all’art. 17 dei contratti esclusi dall’ambito di applicazione del Codice, mentre la seconda categoria si configura come appalto di servizi cui si applica il regime “alleggerito” dell’allegato IX e degli articoli 140 e ss. D. Lgs. n. 50/2016. Da qui l’obbligo generale delle stazioni appaltanti, ricorda l’ANAC, di procedere ad una corretta individuazione del fabbisogno anche allo scopo di evitare il frazionamento artificioso vietato dall’articolo 51 del Codice dei Contratti Pubblici, nonché l’obbligo per le Amministrazioni dello Stato e per quelle non statali autorizzate a valersi dell’Avvocatura dello Stato di richiedere l’assistenza di avvocati del libero Foro solo per ragioni assolutamente eccezionali. Infine, rammenta l’ANAC, “l’affidamento a terzi dei servizi legali è possibile …. sempre che non siano presenti idonee professionalità all’interno della stazione appaltante medesima”, pertanto l’eventuale affidamento esterno dovrà essere specificamente motivato sul punto.

Fermo restando il detto inquadramento generale, quanto alle procedure da seguire per l’affidamento dei servizi, l’ANAC, precisa in primo luogo che ai sensi dell’art. 17 del Codice i servizi legali della prima categoria – previsti dall’art. 17, comma 1 lett. d) – sono esclusi dall’ambito di applicazione oggettiva del Codice dei Contratti Pubblici e sono affidati – per espressa previsione dell’art. 4 dello stesso Codice – “nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità, pubblicità, tutela dell'ambiente ed efficienza energetica”.

Tutti i detti principi (ad eccezione di quelli di tutela dell’ambiente ed efficienza energetica, inconferenti rispetto ai servizi legali) sono declinati dalle Linee Guida 12 al Paragrafo 3.1.2, al cui dettaglio si rinvia. Ulteriore indicazione operativa viene fornita dall’ANAC al Paragrafo 3.1.3, laddove individua come "best practice" la previa formazione di elenchi di professionisti, eventualmente suddivisa per settore di competenza, costituiti “dall’amministrazione mediante una procedura trasparente e aperta, pubblicati sul proprio sito istituzionale. In tal modo, infatti, l’amministrazione può restringere tra essi il confronto concorrenziale al momento dell’affidamento, con effetti positivi in termini di maggiore celerità dell’azione amministrativa.”

Vale rilevare al riguardo che, secondo le indicazioni fornite dalle Linee Guida in esame, l’affidamento dei servizi legali di cui all’art. 17, lett. d) del Codice, dovrebbe seguire di regola il confronto concorrenziale e solo in via eccezionale si potrebbe concretizzare in affidamento diretto ad un professionista determinato “in presenza di specifiche ragioni logico-motivazionali che devono essere espressamente illustrate dalla stazione appaltante nella determina a contrarre” (ad es.: consequenzialità tra incarichi dei diversi gradi di giudizio o di complementarietà con altri incarichi attinenti alla medesima materia oggetto del servizio legale in affidamento, che siano stati positivamente conclusi, o ancora nel caso di assoluta particolarità della controversia o della consulenza, per l’assoluta novità della questione trattata). Detto altrimenti, l’Amministrazione dovrebbe in sostanza procedere sempre ad un confronto comparativo tra due o più preventivi, da richiedere ai professionisti iscritti all’albo previamente formato.

Tale impostazione, ad avviso di chi scrive, oltre ad essere difficilmente compatibile sul piano pratico operativo con la tempistica, il più delle volte esiziale, imposta dalle esigenze di costituzione in giudizio, determina una contraddizione dal punto di vista sistematico.

Si rammenta, difatti, che ai sensi dell’art. 36, comma 2, lett. a) del D. Lgs. 50/2016 s.m.i. (come modificato dal Correttivo) gli affidamenti di servizi, forniture e lavori soggetti all’applicazione del Codice e di importo inferiore ad € 40.000,00 sono legittimamente effettuati mediante affidamento diretto anche senza previa consultazione di due o più operatori economici, con determina a contrarre (o atto equivalente) che contenga, in modo semplificato, l’oggetto dell’affidamento, l’importo, il fornitore, le ragioni della scelta ed il possesso da parte del fornitore dei requisiti di carattere generale, nonché il possesso dei requisiti tecnico-professionali, ove richiesti (art. 32, comma 2 del Codice). Ciò fermi restando i principi dell’art. 30 (sostanzialmente coincidenti con quelli di cui all’art. 4 del Codice) ed il principio di rotazione degli inviti e degli affidamenti.

Tanto rammentato, è agevole osservare come l’affidamento di servizi esclusi dall’ambito di applicazione oggettiva del Codice, quali sono per espressa previsione i servizi legali di cui all’art. 17, lett. d) del medesimo, in base alle indicazioni fornite nelle Linee Guida n. 12, viene ad essere, paradossalmente ed in modo ingiustificato, più rigido di quella previsto per i servizi soggetti integralmente all’applicazione del D. Lgs. 50/2016 s.m.i.

Si rileva altresì con specifico riferimento al principio di economicità, che opportunamente viene precisato dall’ANAC, come esso richieda l’obbligo delle Amministrazioni di accertare la congruità e l’equità del compenso, nel rispetto dei parametri stabiliti da ultimo con decreto ministeriale 8 marzo 2018, n.37 (la congruità può essere motivata, ad es., sulla base di un confronto con la spesa per precedenti affidamenti o, altra ipotesi, con gli oneri riconosciuti da altre amministrazioni per incarichi analoghi, etc.). Tuttavia, in considerazione della natura dei servizi legali in esame e dell’importanza della qualità delle relative prestazioni, il risparmio di spesa non è il criterio di guida nella scelta che deve compiere l’amministrazione alla luce dell’intero quadro ordinamentale.

Sotto questo profilo, infatti, occorre ricordare che, proprio per la salvaguardia del decoro della professione (art. 2233 Cod. Civ.), l’art. 13 bis nella L. 31/12/2012, n. 247 (introdotto dall’art. 19-quaterdecies L. 172/2017) prevede talune limitazioni all’autonomia contrattuale quando l’attività forense è svolta in favore dei cd. grandi committenti (imprese bancarie e assicurative, nonché imprese non rientranti nelle categorie delle PMI), proprio per assicurare l’equità del compenso, con la nullità delle clausole accertate come vessatorie ai sensi del detto articolo e la rideterminazione da parte del giudice del compenso dell’avvocato tenuto conto dei parametri previsti dal decreto del Ministro della Giustizia. A ciò si aggiunga, con specifico riferimento alle pubbliche amministrazioni, che il comma 3 del citato art. art. 19-quaterdecies L. 172/2017 stabilisce che “La pubblica amministrazione, in attuazione dei princìpi di trasparenza, buon andamento ed efficacia delle proprie attività, garantisce il principio dell'equo compenso in relazione alle prestazioni rese dai professionisti in esecuzione di incarichi conferiti dopo la data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”.

Per la seconda tipologia dei servizi legali (che, per quanto sopra, costituiscono un appalto), invece, le Linee guida ANAC n. 12 ulteriormente distinguono tra contratti di valore inferiore alle soglie comunitarie per i quali si applicheranno le Linee Guida n. 4 del 7 marzo 2018 (allegate in pdf), mentre per quelli di importo pari o superiore alla soglia, la pubblicazione degli avvisi e dei bandi è disciplinata dagli articoli 140 del D. Lgs. 50/2016 s.m.i., per i settori speciali, e 142 per i settori ordinari. Per i restanti aspetti della procedura trovano applicazione le disposizioni del Codice dei Contratti Pubblici relative ai contratti di appalto di valore pari o superiore alle soglie di rilevanza comunitaria.

In particolare, i criteri in base ai quali richiedere l’offerta economicamente più vantaggiosa, sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo, sono “l’organizzazione, le qualifiche e l’esperienza del personale effettivamente utilizzato nell’appalto, qualora la qualità del personale incaricato possa avere un’influenza significativa sul livello dell’esecuzione dell'appalto”. In dettaglio, “i criteri di valutazione delle offerte possono essere individuati nei seguenti: a) professionalità e competenza desunte, ad esempio, dal numero e dalla rilevanza dei servizi svolti dal concorrente affini a quelli oggetto dell’affidamento; b) caratteristiche metodologiche dell’offerta desunte dal progetto globale dei servizi offerti e dall’illustrazione delle modalità di svolgimento delle prestazioni oggetto dell’incarico, in grado di soddisfare al meglio le aspettative della stazione appaltante; c) ribasso percentuale indicato nell’offerta economica; d) titoli accademici o professionali attinenti alla materia oggetto del servizio legale da affidare”.

Infine, con riguardo all’offerta economica, fermo restando il limite massimo del 30% per il punteggio economico (fissato all’art. 95, co. 10 bis, del Codice), l’ANAC precisa che “non dovrebbe essere attribuito un punteggio elevato al prezzo nel caso in cui sia previsto l’utilizzo di formule che incentivano molto la competizione sui ribassi percentuali (es. interpolazione lineare) e, viceversa, non dovrebbe essere attribuito un punteggio ridotto nel caso di utilizzo di formule che disincentivino la concorrenza sul prezzo (formule concave, come quella cosiddetta bilineare).”

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Nella Gazzetta Ufficiale n. 231 del 4 ottobre 2018 è stato pubblicato il decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113, recante “Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonché misure per la funzionalità del Ministero dell'interno e l'organizzazione e il funzionamento dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata”, convertito in legge n. 132 del 1° dicembre 2018, di cui si darà quindi opportunamente conto nella presente voce. Il decreto-legge n. 113/2018, comunemente definito come “Decreto Sicurezza”, è entrato in vigore lo scorso 5 ottobre 2018. Fra i numerosi articoli di cui è composto di particolare rilievo sono gli artt. 24, 25 e 26 che modificano, rispettivamente, l'art. 67, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159/2011 in tema di codice antimafia, l’art. 21, legge 13 settembre 1982, n. 646 in tema di subappalto e l’art. 99, d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81 in tema di notifica preliminare dei lavori.

Dopo pochi giorni dall'entrata in vigore della legge n. 132/2018, inoltre, il Ministero dell'interno ha diramato la circolare n. 83774 del 18 dicembre 2018 (allegata in pdf per pronta consultazione), con la quale sono illustrate le principali novità introdotte dal cd. Decreto Sicurezza.

 

Cause antimafia

Innanzitutto, con l’art. 24, comma 1, lettera d), decreto-legge n. 113/2018, convertito, con modificazioni, nella l. 132/2018, sono state estese  le cause ostative antimafia di cui all’art. 67, D. Lgs. 159/2011 introducendovi anche quello relative alla condanna con sentenza definitiva o, ancorché non definitiva, confermata in grado di appello, per i reati di truffa ai danni dello Stato o altro ente pubblico [art. 640, secondo comma, numero 1) cod. pen.] e per quello di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (art. 640-bis c.p.).

L’obiettivo, ribadito dalla circolare ministeriale, è colmare la lacuna normativa considerato che “i reati di truffa ai danni dello Stato nonostante siano nella prassi le attività delittuose poste in essere più frequentemente per ottenere il controllo illecito degli appalti, non figura[va]no tra le ipotesi rilevanti al fine del diniego del rilascio della documentazione antimafia”.

 

Subappalto non autorizzato

Le modificazioni dell’art. 25, d.l. 113/2018 (non mutate sul punto dalla legge n. 132/2018) attengono, in primo luogo, alla natura delle sanzioni che passano dall’arresto alla reclusione e dall’ammenda alla multa.

In questo modo, secondo quanto previsto dagli artt. 39 e 17 cod. pen., il reato di subappalto non autorizzato di cui all’art. 21, legge n. 646/1982 e succ. mod. non è più qualificabile giuridicamente come contravvenzione, bensì come delitto. In secondo luogo, le sanzioni così mutate sono state aumentate nel minimo e massimo edittale. Come per il passato, comunque, le sanzioni operano sempre nei confronti:

(a) di chiunque conceda anche di fatto “in subappalto o a cottimo, in tutto o in parte le opere stesse, senza l'autorizzazione dell'autorità competente”. Tale soggetto è punito oggi con “la reclusione da uno a cinque anni e con la multa” non inferiore ad un terzo del valore dell'opera concessa in subappalto o a cottimo e non superiore ad un terzo del valore complessivo dell'opera ricevuta in appalto;

(b) del subappaltatore e dell’affidatario del cottimo. Tale soggetto è punito oggi con “la reclusione da uno a cinque anni e la multa” pari ad un terzo del valore dell'opera ricevuta in subappalto o in cottimo.

Tuttavia, la variazione in delitto dell’originaria contravvenzione, dovuta al solo mutamento della natura delle sanzioni, rischia di vanificare l’effetto deterrente connesso al loro aumento. Detto altrimenti, in base al testo dell’art. 42 cod. pen. in tema di formulazione dei delitti colposi, il subappalto non autorizzato di cui all’art. 21, legge n. 646/1982 viene adesso punito con la reclusione e la multa e, in quanto “delitto”, può essere perseguito solo in caso di dolo, mentre in precedenza sarebbe stata sufficiente la semplice colpa ai fini della sussistenza della “contravvenzione” subappalto non autorizzato. Nonostante la presentazione di numerosi emendamenti al decreto n. 113/2018, in sede di conversione in legge del provvedimento d’urgenza, non si è posto rimedio a tale distonia di carattere sistematico che potrebbe costituire un tipico caso di eterogenesi dei fini.

Notifica preliminare dei lavori

In seguito alle modifiche apportate dall’art. 26, d.l. 113/2018, poi, la notifica preliminare dei lavori prescritta dall’art. 99, comma 1, d.lgs. 81/2008 e succ. mod. (cd. Testo Unico Sicurezza) doveva essere inviata inizialmente non solo (come avveniva in passato) alla ASL e alla Direzione Provinciale del Lavoro territorialmente competenti, ma anche alla Prefettura della Provincia in cui devono essere realizzati i lavori di cui al medesimo art. 99. La necessità di notificare preliminarmente i lavori anche alla Prefettura appariva riconducibile, seppure implicitamente, ai poteri di accertamento e di accesso ai cantieri pubblici previsti nell’art. 93, d.lgs. 6 settembre 2011 n. 159 e succ. mod. (cd. Codice antimafia) il cui ambito applicativo, in questo modo, era esteso ai lavori privati.

In ogni caso, la notifica preliminare ex art. 99, TUS è obbligatoria per i seguenti lavori:

- cantieri indicati nell'articolo 90, comma 3, TUS, ossia i cantieri in cui è prevista la designazione del coordinatore per la progettazione;

- cantieri che, inizialmente non soggetti all'obbligo di notifica preliminare, ricadono nell’ipotesi precedente per effetto di varianti sopravvenute in corso d'opera (ad es. sopravvenuta nomina coordinatore per l’esecuzione dei lavori);

- cantieri in cui opera un'unica impresa la cui entità presunta di lavoro non sia inferiore a duecento uomini-giorno.

Per completezza, si rammenta che la mancata trasmissione della notifica preliminare dei lavori è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria da € 558,41 ad € 2.010,28 ex art. 157, comma 1, lett. c), TUS, mentre ai sensi dell’art. 90, comma 10, TUS, l’assenza della notifica preliminare comporta la sospensione dell’efficacia del titolo abilitativo edilizio. Con le modificazioni apportate in sede di conversione del decreto-legge n. 113/2018, infine, la notifica preliminare dovrà essere trasmessa al Prefetto nei soli casi di "lavori pubblici". 

In sintesi, per i lavori pubblici, i destinatari della notifica preliminare saranno tre: Ufficio Territoriale di Governo, Direzione Provinciale del Lavoro (oggi, Ispettorato Territoriale del Lavoro) e Azienda Sanitaria Locale, mentre per i lavori privati, invece, solo queste ultime due autorità dovranno essere destinatarie della notifica preliminare.

Nella consapevolezza che l’estensione della notifica preliminare ai Prefetti possa ingolfare le Prefetture di notizie poco utili, poi, la circolare ministeriale invita le Prefetture a promuovere tavoli tecnici volti, da un lato, a far conoscere l’ambito applicativo della novella legislativa e, dall’altro, a sistematizzare le informazioni acquisite tramite la notifica preliminare fra le varie forze dell’ordine preposte alla vigilanza sui cantieri.

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Il tema della responsabilità solidale negli appalti privati e pubblici è stato oggetto di numerose modifiche nel tempo non sempre collimanti tra loro. Vale la pena quindi riepilogare i termini della questione per comprendere meglio la portata dell’interpello ministeriale n. 5/2018 del 13 settembre 2018 (allegato in pdf per pronta consultazione).

L’ultima modifica dell’art. 29, comma 2, d.lgs. 10.9.2003, n. 276 (cd. legge Biagi), dettata dal decreto-legge 17.3.2017, n. 25 entrato in vigore il 17 marzo 2017, lasciava infatti ampi spazi di incertezza sulla perdurante applicabilità di (precedenti) diversi meccanismi della contrattazione collettiva che, in ipotesi, avessero individuato metodi e procedure per il controllo e la verifica della regolarità complessiva degli appalti, con facoltà di derogare al principio della solidarietà del committente per i crediti retributivi vantati dal lavoratore impiegato dall’appaltatore (il tutto, tra  l'altro, senza che fosse prevista alcuna norma di diritto transitorio).

Tali meccanismi, per altri versi, erano richiamati nell’art. 105, d.lgs. 18.4.2016, n. 50 che, a tutela dei dipendenti dell’appaltatore, prevede la responsabilità del contraente principale “in solido con il subappaltatore in relazione agli obblighi retributivi e contributivi, ai sensi dell'articolo 29 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276”, nonché la responsabilità in solido dell’affidatario con il subappaltatore per l’osservanza delle norme della contrattazione collettiva per il “trattamento economico e normativo stabilito dai contratti collettivi nazionale e territoriale in vigore per il settore e per la zona nella quale si eseguono le prestazioni”.

Ma andiamo per ordine. In primo luogo, dopo le modifiche del decreto-legge n. 25/2017 (convertito, con modificazioni, nella legge n. 49/2017), seppure per ragioni di migliore tutela del “creditore lavoratore”, il committente privato non può invocare più il beneficio della preventiva escussione dell’appaltatore o degli eventuali subappaltatori nella sua prima difesa o nella memoria di costituzione nel giudizio ex art. 414 cod. proc. civ., dovendo pagare direttamente al lavoratore tutti i crediti da lui vantati, salvo il suo diritto di agire per ottenere il rimborso di quanto pagato per conto dell’appaltatore o del subappaltatore. A ciò si aggiunga che, anche attraverso l’eliminazione del riferimento ai meccanismi di controllo previsti dal contratto collettivo, il committente privato rimane sostanzialmente privo di qualsiasi mezzo per verificare il corretto adempimento da parte dell’impresa affidataria o delle imprese subappaltatrici degli obblighi retributivi e contributivi nei confronti delle maestranze impiegati da tali imprese.

In secondo luogo, per espressa disposizione dell’art. 9, comma 1, decreto-legge 28.6.2013, n. 76 (e, soprattutto, dell’art. 1, comma 2, d.lgs. 276/2003), agli appalti pubblici non trova applicazione l’art. 29 della Legge Biagi, improvvidamente richiamato nell’art. 105, comma 8, d.lgs. 50/2016. In precedenza, come riconosciuto dalla sentenza della Cassazione, sez. lavoro, 10.10.2016, n. 20327 a proposito delle analoghe disposizioni del d.lgs. 163/2006, agli appalti pubblici non trovava applicazione il regime di responsabilità solidale previsto dall’art 29, comma 2, d.lgs. 276/2003 (cfr., da ultimo, Cassazione, sez. lavoro, ord. 30.10.2018, n. 27677).

Oggi, con l’interpello n. 5/2018 del 13 settembre 2018, viene fatto un minimo di chiarezza sul punto. Un’ultima notazione preliminare: si tratta di un interpello reso ai sensi dell’art. 9, d.lgs. 23.4.2004, n. 124 la cui osservanza quindi, a differenza degli interpelli in tema di sicurezza sul lavoro, esclude l'applicazione delle relative sanzioni penali, amministrative e civili.

Svolte queste non brevi, ma necessarie, considerazioni introduttive, traendo spunto dall’interpello n. 5/2018 possono formularsi le seguenti considerazioni d’assieme per gli appalti privati:

a) non possono inserirsi nei contratti collettivi, sottoscritti post 17 marzo 2017, modifiche di verifica dell’appalto in deroga al regime della solidarietà di cui all’attuale art. 29, d.lgs. 276/2003;

b) non operano nei contratti di appalto, sottoscritti post 17 marzo 2017, disposizioni contenute in contratti collettivi che, in corso di validità al 17 marzo 2017, derogano al regime di solidarietà di cui all’art. 29, d.lgs. 276/2003;

c) può trovare applicazione la disposizione contrattuale di esclusione della solidarietà solo per crediti maturati nel corso del periodo ante 17 marzo 2017, mentre non potrà operare per crediti maturati nel periodo successivo.

Alla fine di questo contributo, traendo spunto dalle argomentazioni sopra sintetizzate dell’interpello n. 5/2018, può ragionevolmente sostenersi che il committente pubblico, fatti salvi i contratti di appalto pubblici sottoscritti prima del 17 marzo 2017 e per crediti maturati prima di tale data, non possa più far riferimento ad eventuali clausole dei contratti collettivi derogatorie del regime di responsabilità solidale. Come riconosciuto espressamente dall’interpello n. 5/2018, infatti, è stata in radice “rimossa la possibilità per il contratto collettivo di introdurre una deroga al regime di solidarietà negli appalti”.

Tuttavia, è d’obbligo auspicare un intervento chiarificatore del legislatore, così da fugare i dubbi interpretativi ed applicativi in una materia così densa di implicazioni che, ad avviso di chi scrive, non può essere sempre lasciato a continui interventi della giurisprudenza e della prassi amministrativa.

Si tratta, infatti, di un ambito in cui le preminenti esigenze di tutela del lavoratore (ben evidenziate, ad esempio, nella sentenza della Corte costituzionale 6.12.2017, n. 254 che ha esteso il regime della legge Biagi anche ai lavoratori del sub-fornitore in contratti di sub-fornitura, oggetto della successiva circolare dell'Ispettorato Nazionale del Lavoro 29.3.2018, n. 6) dovrebbero tener in debito conto anche la responsabilità solidale “illimitata” e senza filtri tra committente e appaltatore negli appalti e subappalti privati che si trasforma, come è stato correttamente osservato, in una vera e propria “responsabilità oggettiva” in capo alle imprese committenti (di solito, medio-grandi) nei confronti dei propri subappaltatori.

Questi ultimi, infatti, potrebbero essere indotti a non onorare nei confronti dei propri lavoratori “i trattamenti retributivi, comprese le quote di trattamento di fine rapporto, nonché i contributi previdenziali e i premi assicurativi dovuti in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto”, confidando per due anni nella responsabilità solidale del committente che, di norma, è soggetto più strutturato economicamente.

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Nella Gazzetta Ufficiale n. 139 del 18 giugno 2018 è stato pubblicato il decreto ministeriale 28 marzo 2018, n. 69 “Regolamento recante disciplina della cessazione della qualifica di rifiuto di conglomerato bituminoso ai sensi dellarticolo 184-ter, comma 2 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152” (allegato in pdf per pronta consultazione).

Si tratta del decreto, da tempo atteso dagli operatori del settore e che entra in vigore il prossimo 3 luglio 2018, mediante il quale sono stati individuati, ai sensi di quanto disposto dall'art. 184-ter del citato decreto legislativo (cd. Testo Unico Ambiente), i criteri e le condizioni in base alle quali il conglomerato bituminoso, ricavato dalla fresatura o scarifica del manto stradale, cessa di essere qualificato come un rifiuto (ossia come rifiuto costituito dalla miscela di inerti e leganti bituminosi identificata con il codice EER 17.03.02) per essere reintrodotto nel ciclo economico come prodotto.

Del resto, anche recentemente la giurisprudenza aveva precisato, che i materiali che residuano da lavori di demolizione («fresato d'asfalto» derivante dalle attività di scarifica di una pista aeroportuale) rientrano nel novero dei rifiuti per presunzione ex lege iuris tantum, ferma restando la possibilità di gestire gli stessi come sottoprodotti purché ricorrano tutte le condizioni di cui all'art. 184 bis d.lgs. 152/06: in particolare, da un lato, il requisito della certezza dell'utilizzo del sottoprodotto va apprezzato con riferimento esclusivo alla fase della produzione e, dall'altro lato, per accertare se il trattamento cui è sottoposto il materiale prima del riutilizzo possa rientrare nella «normale pratica industriale», vanno esclusi gli interventi manipolativi del residuo diversi da quelli ordinariamente effettuati nel processo produttivo nel quale viene utilizzato. Nella specie, oggetto della sentenza della Cass. pen., sez. III, 28 giugno 2017, n. 53136, ai fini del suo riutilizzo quale componente del nuovo conglomerato bituminoso, il fresato non veniva impiegato «tal quale», ma era sottoposto a una lavorazione a caldo, che, attraverso la miscelazione con altre componenti vergini, dava luogo a un materiale diverso da quello originario. Dal canto suo, la giurisprudenza amministrativa aveva affermato che il fresato d'asfalto, in linea di massima, non deve essere condotto e conferito in discarica come rifiuto speciale (cfr. C. Stato, sez. IV, 6 ottobre 2014, n. 4978).

Ciò ricordato in ordine alle incertezze della giurisprudenza, una delle ragioni giustificatrici dell’intervento regolamentare è indicata nel preambolo del d.m. 69/2018, in cui si legge che “in Italia esiste un mercato per il granulato di conglomerato bituminoso in ragione del fatto che lo stesso risulta comunemente oggetto di transazioni commerciali e possiede un effettivo valore economico di scambio, che sussistono scopi specifici per i quali la sostanza è utilizzabile, nel rispetto dei requisiti tecnici di cui al …. regolamento, che la medesima rispetta la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti e che il suo utilizzo non porta a impatti complessivi negativi sullambiente o sulla salute umana”.

Venendo al merito del regolamento, lo stesso si compone di 6 articoli e di due allegati che disciplinano i seguenti aspetti.

L’art. 1 (“Oggetto e ambito di applicazione”) individua l’oggetto del regolamento in esame, specificando che quest'ultimo non trova applicazione nel caso di conglomerato bituminoso qualificato come sottoprodotto ai sensi dell'art. 184-bis del d.lgs. 152/2006.

L’art. 2 (“Definizioni”) rimanda alle definizioni di cui all'art. 183 del d.lgs. n. 152/2006, così come integrate dalle ulteriori definizioni recate dall'articolo stesso.

L’art. 3 (“Criteri ai fini della cessazione della qualifica di rifiuto”) rinvia all'Allegato 1, parti A) e B) per l'individuazione dei criteri per la cessazione della qualifica di rifiuto, specificando altresì che, a tal fine, il conglomerato bituminoso deve rispondere agli standard previsti dalle disposizioni comunitarie. In sintesi, il granulato di conglomerato bituminoso deve soddisfare i seguenti criteri: a) utilizzabilità per gli scopi specifici di cui alla parte a) dell'Allegato 1; b) rispondenza agli standard previsti dalle norme UNI EN 13108-8 (serie da 1-7) o UNI EN 13242 in funzione dello scopo specifico previsto; c) conformità alle specifiche di cui alla parte b) dell'Allegato 1.

L’art. 4 (“Dichiarazione di conformità e modalità di detenzione dei campioni”) prevede che i produttori di granulato di conglomerato bituminoso debbano redigere, all'esito del processo di produzione, una dichiarazione di conformità (DDC) sul modello di quella prevista nell'Allegato 2, attestante il rispetto dei criteri di cui all'art. 3; lo stesso art. 4 prevede, inoltre, che i produttori debbano conservare tale dichiarazione, unitamente ad un campione di granulato di conglomerato bituminoso, ai fini delle successive verifiche sulla sussistenza dei requisiti previsti dal regolamento stesso. Il rispetto dei criteri sopra esposti viene attestato dal produttore tramite una Dichiarazione di Conformità (sostitutiva di atto di notorietà ex art. 47 del DPR 445/2000) redatta al termine del processo produttivo di ciascun lotto secondo il modulo riportato in Allegato 2 al DM 69/2018, e da inviare tramite raccomandata con avviso di ricevimento ovvero con una delle modalità di cui all'articolo 65 del D.Lgs. n. 7 marzo 2005, n. 82 (cd. Codice dell’amministrazione digitale), all'autorità competente e all'agenzia di protezione ambientale territorialmente competente. Il produttore ha poi l’obbligo di conservare presso l'impianto di produzione, o presso la propria sede legale, la Dichiarazione anche in formato elettronico, mettendola a disposizione delle autorità.

L’art. 5 (“Sistema di gestione ambientale”) prevede disposizioni specifiche per le imprese registrate ai sensi del regolamento CE n. 761/2001 (EMAS) e per le imprese in possesso della certificazione ambientale UNI EN ISO 14001, rilasciata da un organismo accreditato. A tale riguardo va evidenziato che siffatte imprese sono esentate dall'obbligo di conservazione testé esaminato.

L’art. 6 (“Norme transitorie e finali”) prevede la procedura di adeguamento alla nuova disciplina per i produttori, stabilendo altresì che, nelle more (120 giorni dall’entrata in vigore del decreto), si applicano i criteri di cui all'articolo 3 del regolamento, attestati dai produttori stessi ai sensi dell'articolo 4. In particolare, il produttore deve presentare un aggiornamento della comunicazione effettuata ai sensi dell'articolo 216 o un'istanza di aggiornamento dell'autorizzazione ai sensi del Titolo III-bis della Parte II e del Titolo I, Capo IV, della Parte IV del Codice Ambiente. Nel frattempo, il granulato di conglomerato bituminoso prodotto può essere utilizzato se presenta caratteristiche conformi ai criteri di cui all'articolo 3, attestate mediante dichiarazione di conformità. Il medesimo articolo 6 prevede, infine, che gli allegati fanno parte integrante del regolamento stesso.

L’allegato 1 individua gli scopi di utilizzo del conglomerato bituminoso di recupero (parte A), nonché le verifiche sui rifiuti in ingresso all'impianto, le modalità di prelievo dei campioni ed i parametri e limiti massimi di concentrazione ammissibile affinché il conglomerato possa considerarsi prodotto di recupero (parte B).

L’allegato 2, infine, reca il modello di dichiarazione di conformità (DDC) che reca l'anagrafica del produttore e le relative dichiarazioni sulle caratteristiche del granulato di conglomerato bituminoso.

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AVVERTENZA

Con Avviso di rettifica pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 15 luglio 2016 n. 164, sono stati corretti gli errori materiali contenuti nel testo del nuovo Codice dei Contratti Pubblici (D. Lgs. 18 aprile 2016, n. 50, pubblicato nel Supplemento Ordinario N. 10/L alla G.U. - Serie gen. - del 19 aprile 2016, n. 91).
Si rende disponibile per comodità di consultazione il testo del Codice aggiornato da Normattiva a seguito delle correzioni.

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